Ultime radio libere prigioniere della Roma
Dopo la sconfitta di Bergamo del 20 novembre la Roma è scesa a sette punti dalla Juve e la cosa ha sembrato annunciare, già a metà novembre, un destino amarissimo per questo campionato.
Da ascoltatori fissi delle emittenti radiofoniche giallorosse, immaginavamo che la cosa avrebbe azzerato brutalmente tutti i sogni, le iperboli o i paradossi multicolori che di solito accompagnano in onda la squadra di Spalletti, montando solo un’attesa lugubre e insostenibile per l’unico rimedio a tutti i mali che conosciamo: il prossimo calciomercato.
Visto che non si avranno notizie di nuovi arrivi a Trigoria prima della Befana, per alcuni giorni – anche per scaramanzia – abbiamo deciso allora di sospendere temporaneamente la nostra dipendenza da Galopeira e Nisii e magari cercare di capire cosa è successo a Roma nel panorama delle varie emittenti locali non propriamente sportive.
La notizia più grave, già appresa da mesi purtroppo, è che un’emittente storica come Radio Città Aperta ha dovuto interrompere definitivamente i suoi programmi in Fm e trasferire su Internet tutto il suo palinsesto. La cosa non solo segna, oltre al resto, la perdita di una delle voci storiche e più influenti di questa città come Prince Faster, ma probabilmente, attesta che non c’è più spazio in città per la ricerca e la diffusione di musica che offra un’alternativa ai talent show e ai tormentoni di stagione.
Desiati, nel suo ultimo libro, descrive perfettamente il modo in cui ormai tonnellate di musica raccolta nello spazio di una mano riescano a trasformarsi per noi in un rifugio per dimenticare, sul bus o la metro, la realtà delle nostre strade.
Il problema, è che anche provando a mettersi in ascolto delle principali emittenti private, sembra quasi che il tipo di alienazione sia la stessa e che manchi tremendamente un progetto solido e coerente per cercare di mettere in comunicazione quello che succede dentro la cabina di regia e fuori. Almeno musicalmente.
Quando abbiamo cominciato ad ascoltare Radio Rock venticinque anni fa, quasi ogni pezzo che riuscivamo a sentire per noi era una scoperta e ci apriva mondi inaspettati. Dopo cinque lustri di ricerche personali più o meno insistite è difficile magari ora trovare sempre lande del tutto sconosciute. Il problema però non è dover sopportare pezzi che già conosciamo, ma l’idea che la maggior parte delle trasmissioni si sia assuefatta ormai a rimpallarsi con il pubblico gusti e ascolti consolidati e canonizzati da decenni.
Ok Virgin Radio ha deciso di puntare tutto su Eagles e Dire Straits, è una scelta. Possibile però che tutto il resto si accodi in maniera così sciatta a questo modello? Sentire ora gli ascoltatori di Radio Rock che se la prendono con Calcutta, non vedendo l’ora che qualcuno gli rimetta i Muse o Caparezza dà l’idea di Facebook quando vedi che si comincia a condividere in maniera virale qualche notizia sulla colonna di destra di Repubblica.
Come se non si fosse più pronti ad una novità, nemmeno quando è a suo modo piacevole e non certo ostica.
Il feedback condiviso tra ascoltatori e trasmissioni sembra avvolgersi nello scambio di un’idea musicale astratta, del tutto avulsa dalla realtà e molto più vicina ad un luogo comune stiracchiato che non ad un progetto culturale vivo.
Le dirette al telefono con i tifosi della Roma paradossalmente sembrano molto più libere e vicine ad un’idea democratica e partecipativa nel modello della vecchia Radio Radicale. Anche lì però le pubblicità stanno appiattendo tutto e molto spesso i redazionali con gli sponsor stanno riducendo lo spazio all’inventiva e alla genuinità.
Non è che tutti si devono adeguare al format dei programmi tipo Caffè Scorretto o Night Shift su Radio Popolare, che a loro modo danno spazio ai gruppi locali facendoli esibire in diretta o dando voce alla scena punk-hardcore. Già mostrare più autonomia dall’intervento ingombrante del pubblico o degli inserzionisti sarebbe un modo per lasciare uscire un messaggio od una linea di comunicazione solida e coerente. Le chicche di Michele Luches in ambito new wave su Radio Città Futura, come lo stoner di Down in the desert e l’hip hop di Niente da vendere su Radio Onda rossa in questo senso riescono sempre a rimettere in moto una circolazione d’ossigeno benefica e tonificante.
Sarà che le recenti immagini di Richard Benson querulante e in stato di ristrettezze ci hanno fatto sentire le mancanza dei suoi vecchi interventi su Ottava nota. Pensiamo che se qualche radio reclutasse il chitarrista più veloce del mondo per una sua nuova trasmissione in ambito hard rock, farebbe del bene a lui, ma anche a migliaia di ascoltatori lasciati soli e bisognosi si una conduzione forte ed originale.
Poi però la sconfitta della Juventus a Genova ha momentaneamente interrotto le nostre ricerche musicali in Fm.
L’avvicinamento a quattro punti dalla vetta ci ravvicina però al primato e alla triste verità che in fondo la nostra unica aspirazione è sentire a ripetizione We are the Champions dei Queen allo stadio dopo il ritorno alla vittoria della Magica.
[La foto del titolo è di Goszka, diffusa con licenza Creative Commons]