La Raggi è appesa al filo del referendum?
“Lasciamola lavorare, diamole tempo”: ma il tempo della verifica e forse della scadenza per la giunta di Virginia Raggi si starebbe avvicinando.
E non si tratta di una scadenza dettata dal gradimento dei romani sul lavoro della sindaca pentastellata e della sua squadra: quello, e il dato sorprende molti, sembra rimanere, anche se una flessione significativa si starebbe cominciando a concretizzare con l’arrivo alle porte delle festività natalizie.
La data di una possibile crisi il M5S romano è il 4 dicembre, il giorno del referendum. Tutte gli scontri, i giudizi e i malumori, sia a livello nazionale e parlamentare che ai vertici della Casaleggio e associati, fino a quella data verrebbero mantenuti sotto traccia. Molte delle decisioni e delle scelte fatte in questi mesi dalla sindaca non sarebbero state digerite e tanto meno approvate da Grillo e dal figlio di Gianroberto Casaleggio. Come del resto il caos creato nei primi mesi di “non amministrazione” nel corso dell’incredibile escalation di scontri, fughe di notizie, liti furibonde che hanno fatto saltare gli equilibri dei gruppi parlamentari e messo in mora pezzi importanti del neonato gruppo dirigente nazionale non sono state risolte.
Una tregua imposta dall’opportunità politica è in corso. E il destino della Raggi e del suo gruppo di fedelissimi (interni ed esterni al moVimento) è appeso al risultato del referendum costituzionale.
Perché non sarebbe stato politicamente producente in piena campagna elettorale sfiduciare il gruppo romano. Perché un’eventuale crisi a Roma avrebbe avuto ricadute pesantissime sulla faticosa tregua (armata) raggiunta grazie alla mediazione del leader fra i due uomini forti emergenti a livello nazionale: Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista.
Una vittoria del Sì con ogni probabilità innescherebbe la crisi immediatamente. Non ci sarebbe più bisogno di tenersi buoni gli elettori nell’immediato in vista di possibili elezioni in caso di una vittoria del No. Una crisi e un taglio netto con il gruppo di potere che si è insediato a Roma condizionato, e non poco, da figure come Muraro e Marra potrebbe essere riassorbita velocemente, rivenduta come campagna per la ricerca “dell’antica purezza” del movimento.
I tempi divenuti inevitabilmente più lunghi con le elezioni nazionali allontanate da una vittoria della linea di Renzi e Boschi, potrebbero portare a una velocissima crisi e a un commissariamento allungato per arrivare a un nuovo voto locale insieme a quello nazionale. E sia a Milano che nei gruppi parlamentari, c’è chi avrebbe già ipotizzato questo tipo di percorso.
Con la vittoria del No e la probabile crisi di governo e elezioni anticipate, la situazione si farebbe invece più complessa.
Anche perché con lo scandalo delle firme “copiate” in Sicilia (e ora pare anche in Emilia Romagna), l’intero movimento si trova in grave affanno. La tentazione di andare a crisi comunque per andare al voto nazionale e romano contemporaneamente rimane. Soprattutto fra quella parte del movimento romano e nazionale che è stata sconfitta e messa di fatto ai margini dopo il sostegno di Grillo alla sindaca e che da mesi sta preparando il contrattacco.
Ma anche fra chi ha sostenuto le scelte della Raggi starebbe insinuandosi il desiderio di non portarsi dietro una possibile bomba innescata, come quella di una giunta e di dirigenti che bene poco hanno a che fare con le linee e i programmi originari del potere.
Tutto si giocherà quindi appena saranno resi noti i risultati del referendum del 4 dicembre? Ormai nei corridoi di Montecitorio e all’ombra della statua di Marco Aurelio ben pochi si illudono che non sia così.
[La foto di Beppe Grillo è di Liwax, scattata il 4 giugno 2009 a Frascati, e diffusa con licenza Creative Commons]