Morire in bicicletta. Per colpa di chi?
C’è chi le chiama reti da pollaio, a me piace immaginarli come cerotti arancioni, incapaci di guarire le mille ferite della città. Spuntano in ogni dove, le reti arancioni. A delimitare il tombino rotto, la buca non riparata, il muretto di sostegno pericolante in un parco, l’opera finita chissà in che anno, ma non ancora collaudata. Una sorta di metafora arancione dell’incapacità di amministrare Roma. Non dell’incapacità di questa amministrazione, sia chiaro, dell’incapacità dell’intera classe politica capitolina di dare risposte alle tante questioni aperte.
Ma questa che vedete nella foto non è una rete arancione qualsiasi. E’ quella che da un mese esatto chiude l’accesso alla ciclabile di Magliana all’incrocio con via Pian Due Torri. La causa? Qui, l’8 ottobre, è morto Marco Artiaco, 47 anni, ciclista. Morto per quale motivo? Vi hanno raccontato che quell’incrocio non è segnalato. Vi hanno raccontato che non aveva visto un furgone di una ditta che lavora per conto dell’Ama. Vi hanno raccontato che ha frenato ed è caduto sbattendo la testa sull’asfalto. Vi racconteranno che è morto prima che arrivasse l’ambulanza.
Balle.
E’ morto per incapacità. E’ morto perché in questa città si pensa sempre alle grandi opere e non alla “minuta manutenzione”. Quella pista ciclabile, una trentina di chilometri che tagliano Roma da nord a sud, una vera arteria della mobilità ciclabile, è costellata di pericoli. Uno pedala tranquillo e si trova: radici, rom che spuntano dai accampamenti improvvisati spingendo carrelli pieni di taniche per l’acqua, macchine che raggiungono casette, baracche, piccole imprese che spuntano come i funghi nei tratti più lontani dalle case.
E poi, ancora, ponti sotto il Tevere chiusi da transenne (ancora i famosi cerotti arancioni), griglie per la raccolta delle acque sparite chissà dove che creano delle piccole trincee dove le ruote affondano e chissà che se te la cavi.
Ma soprattutto ti trovi gli stop. Provate a girare in una qualsiasi città europea, ma anche italiana, e osservate chi ha la precedenza fra bici e automobili. Uno risponde quasi istintivamente: le prime, è chiaro. La ragione è semplice: il mezzo più complesso da manovrare ha sempre la precedenza. Succede per strada come in mare. A Roma no. A Roma sei sulla ciclabile e ti trovi lo stop. Quasi che la Capitale avesse un proprio codice della strada.
E quando poi finisce che uno ci muore a uno di questi incroci che fa l’amministrazione? Quell’amministrazione che ogni cinque minuti parla di mobilità nuova, che ti prende il giro con il Grande raccordo anulare per le bici, che ha affidato la delega di questo settore addirittura a uno di “Salvaciclisti”, una sorta di estremista delle due ruote, (54mila euro l’anno), quella amministrazione, dicevo, chiude l’incrocio, non alle macchine, alla biciclette. Con quel cerotto arancione che questa volta sembra tanto una presa in giro.