Mi dimetto o no? Il dilemma di Berdini

Le ultime sventure di Virginia Raggi – che in una settimana ha perso per ragioni diverse Raffaele Marra, Salvatore Romeo, Daniele Frongia e Paola Muraro – potrebbero suonare come una benedizione per l’assessore all’Urbanistica Paolo Berdini, impegnato in un braccio di ferro con la sindaca. Ma l’urbanista di sinistra, che sta cercando di ridimensionare la costruzione del mega-stadio della Roma a Tor di Valle, si trova in realtà di fronte a un dilemma.

Berdini potrebbe andarsene, come ha fatto nei mesi scorsi l’assessore al Bilancio Marcello Minenna, spiegando che non è più in grado di collaborare con una giunta che doveva rivoluzionare la Capitale e che invece è impantanata nella vicenda delle nomine, al punto da finire nel mirino della magistratura dopo un esposto alla magistratura dell’ex capo di gabinetto Carla Raineri.

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Ma se se ne andasse ora, privando definitivamente la giunta della copertura a sinistra, rischierebbe di perdere proprio la battaglia campale, quella sullo stadio.

Berdini, che da anni critica il rapporto delle amministrazioni con i costruttori ed è un sostenitore – almeno teorico – della crescita zero del cemento in città, era pronto ad accettare la candidatura di Roma alle Olimpiadi come male minore, secondo quel modello “eco-compatibile” che aveva spinto le associazioni ambientaliste a dire sì ai Giochi a Roma. Ma il no alle Olimpiadi deciso da Raggi, con il placet di Beppe Grillo, motivato dalla necessità per la città di evitare nuovi debiti e occasioni di corruzione, sembra aver di fatto aperto la strada proprio allo stadio della AS Roma. O meglio, al mega impianto di cui lo stadio è solo un pezzo, e che già aveva avuto il via libera del Campidoglio sotto Ignazio Marino e della giunta di Nicola Zingaretti in Regione. Ma che Berdini vuole stoppare.

Il complesso – che peraltro non sarebbe di proprietà diretta della Roma, ma della società di Pallotta e soci che possiede a sua volta la Magica – prevede infatti grattacieli e varie opere commerciali, realizzate dal costruttore Parnasi (più o meno vicino al centrosinistra, avversario di Caltagirone, che è a sua volta nemico del M5s). Berdini vorrebbe solo lo stadio, che significa un po’ meno di un terzo del progetto, perché ritiene il resto, di fatto, una speculazione.

Il problema però che il Comune nel 2015 ha già detto sì a tutto il pacchetto (anche se serve una variante urbanistica finale), e che se non si dà il via libera entro i primi giorni di febbraio all’opera c’è il rischio di una causa di risarcimento. Poi il progetto prevede in teoria benefici di diverse centinaia di milioni di investimenti privati. Infine, si tratta dello stadio dei giallorossi, cioè della squadra per eccellenza della Capitale, con tutti i significati simbolici del caso (per quanto, a ben guardare, visto il calo delle presenze allo stadio, tutta questa necessità di un nuovo impianto non si capisce).

Insomma, Berdini sta giocando proprio adesso le sue carte. Se riuscirà a bloccare il progetto com’è, costringendo Pallotta e soci a ricominciare da capo l’iter (ma a quel punto sarebbe ancora interessante per loro?), sarà un suo successo, storico. Se però lasciasse prima, o peggio ancora fosse cacciato (ipotesi che non del tutto peregrina: Raggi potrebbe farlo per bilanciare appunto la perdita dei fedelissimi) avrebbe marcato l’irrilevanza sua e anche di un pezzo di città e di politica che pensavano di utilizzare la vittoria del M5s per imporre – con una scorciatoia – una propria idea di cambiamento.

[Nella foto, tratta da un video pubblicato su YouTube nel novembre 2014. Il disegno invece mostra il complesso dello stadio con il business park accanto]