A Valerio, ucciso il 22 febbraio 1980

«Avevo un figlio, Valerio, che riempiva la nostra vita e me lo hanno ammazzato. È caduto sul divano in quell’angolo, aveva la testa dove adesso c’è quel gattino di pezza. Sono stati i fascisti, forse per vendetta, perché Valerio faceva parte di Autonomia, o forse per paura. Valerio era un loro nemico giurato, stava raccogliendo un dossier sui fascisti del quartiere, chissà? Ma da quel giorno viviamo con uno scopo, scoprire la verità su nostro figlio. Dare un nome ai tre assassini che ce l’hanno ucciso davanti agli occhi. Se la sua morte rimarrà un mistero, mio figlio sarebbe ucciso per la seconda volta».

Il palazzo dove viveva Valerio Verbano

Questo raccontò il padre, Sardo Verbano impiegato del Ministero dell’Interno, alla Storia siamo noi trasmissione RAI. Sta di fatto che pur ritenendo probabile  la matrice neofascista, ancora oggi non si conoscono i mandanti o gli esecutori dell’omicidio.

Valerio Verbano era un ragazzo di 19 anni che militava in Autonomia Operaia, una formazione della sinistra extraparlamentare. Negli anni ci sono state varie rivendicazioni, alcune certamente false, ma ancora alcuna verità giudiziaria.
Certo è che tre persone con il volto coperto fecero irruzione in casa sua e lo uccisero con dei colpi di pistola. Valerio raccoglieva foto e informazioni sulle formazioni di estrema destra di Roma nord. Anche da questa circostanza prende le mosse l’idea di una “pista nera”.

In questi giorni tra via Sarandi e Via delle Isole Curzolane, al Tufello, Jorit ha finito un grande murales dedicato alla memoria di Valerio Verbano. Sotto, come una sorta di intonaco psichico o di fondo ideale, l’artista ha riprodotto le parole con cui il padre ricordò il figlio: «Avevo un figlio, Valerio, che riempiva la nostra vita […]».

Valerio Verbano fu ucciso in casa sua, da tre uomini armati, 41 anni fa.

Il testo che fa da sfondo al murales, anima del lavoro

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