Scuole aperte, stop al panico

La riapertura delle scuole superiori a Roma dopo due mesi di sola didattica a distanza ha ulteriormente spaccato l’opinione pubblica. C’è, in sostanza, il partito della chiusura e quello dell’apertura. E c’è poi un’area trasversale secondo cui pur se l’apertura rappresenta comunque un rischio, per la diffusione del coronavirus, adottando alcune misure potremmo tenere aperte le scuole, anche parzialmente.

Il punto è che gli studi realizzati sono lacunosi, danno indicazioni diverse, e gli esperti sono divisi. Ma soprattutto, il punto è: ritieniamo che sia importante che le scuole restino aperte, ovviamente col massimo grado di sicurezza possibile, oppure no? Oppure vanno tenute aperte solo le attività economiche essenziali? E per quanto tempo?  E cosa è, però, essenziale? L’industria alimentare?

Gli studenti in questi giorni hanno protestato per chiedere maggiore sicurezza, ma gran parte di loro (e dei loro genitori), a quanto pare, vuole comunque tornare a scuola. La “Dad” è stata la più grande rivoluzione della scuola italiana degli ultimi anni, ha dei vantaggi innegabili ma è avvenuta soltanto perché c’è stata la pandemia, e dunque è stata attuata in modo improvvisato e convulso. Portando con sé una serie di problemi per i ragazzi (isolamento, problemi di attenzione) e anche per le famiglie (per esempio, c’è la questione degli spazi casalinghi e anche della disponibilità di computer che funzionino e di una rete stabile). Si dice: ma tanto comunque i giovani poi escono il pomeriggio. Probabilmente sì, non tutti. Ma quando i giovani escono e si ritrovano, suona subito l’accusa: assembramento! Niente mascherine! Irresponsabili!

Le misure adottate oggi per consentire l’aperture delle scuole, su iniziativa del prefetto, sono sommarie. In sostanza, gli studenti frequentano le lezioni a giorni alterni. Due quinti cominciano le lezioni alle 8, tre quinti alle 10. I trasporti pubblici sono stati ufficialmente rinforzati, anche ricorrendo a vetture private e soprattutto togliendo corse a linee meno frequentate, da quel che si capisce. Ma non si hanno ancora dati precisi su quanto stia funzionando il meccanismo. La Regione Lazio ha invitato gli studenti dai 14 ai 18 anni a fare tamponi rapidi gratuitamente, almeno fino a fine mese, ma non ha organizzato un piano vero e proprio, lasciando tutto all’iniziativa personale.

Tutto quello che non funziona, lo sappiamo. Sappiamo che è stata perso tempo, molto. Però possiamo decidere di ripartire dalla scuola, per mettere mano in modo strutturale alle cose che non funzionano poi anche in altri settori.

foto di Cristina Sanvito diffusa su Flickr.com con licenza creative commons

Intanto, si può organizzare la scuola in presenza al 50% anche facendo funzionare la Dad tutti i giorni: metà classe sta in aula, metà segue dal pc grazie alla videocamera.
Le aule vanno areate (ora è questione di lasciare le finestre aperte, ma nel frattempo bisogna realizzare sistemi di ventilazione adeguati, e si può fare con un intervento edilizio generale che servirebbe anche a rilanciare il settore delle ri-costruzioni). 

Le scuole vanno sottoposte a screening di massa ciclici, sia test sierologici che tamponi rapidi, per avere in tempi rapidi il quadro generale della situazione. E il personale scolastico (che nelle scuole comincia ad avere una certa età, soprattutto tra i prof) deve avere accesso prioritario alla vaccinazione. Nel frattempo, però, si può anche consentire, con la necessaria flessibilità, i professori di salute più fragile tengano comunque le loro lezioni a distanza o registrate (in asincrono).

Gli orari vanno differenziati anche in funzione della singola scuola e degli utenti (è un’idea che è stata lanciata da anni, proprio per ridurre il traffico: e ci sono anche studi interessanti sui vantaggi che verrebbero da iniziare la scuola più tardi delle solite 8-8.30): va organizzato per l’occasione un vero piano regolatore degli orari della città, cosa di cui si parla a intervalli ricorrenti.
Non tutti gli studenti usano i mezzi pubblici: ci sono quelli che vanno a piedi, se abitano vicino alla scuola, e quelli che vengono accompagnati in auto. Bisogna promuovere e incentivare anche l’uso delle bici, creando corridoi dedicati. E zone pedonali attorno alle scuole. E bisogna anche però che si applichi lo smart working (che non è il telelavoro) in modo diffuso in tutti i posti di lavoro in cui è possibile. Mentre oggi c’è stato un ripiegamento: basta vedere quanto traffico di auto c’è a Roma.

Queste sono solo alcune misure più dettagliate, ma ce ne sono molte altre, che possono provenire dalle singole scuole. In generale, le amministrazioni (municipi, Comune, città metropolitana, Regione), devono accompagnare questo processo rapidamente. La responsabilità non può essere soltanto della Regione: per legge, per esempio, il responsabile della salute in un Comune è il sindaco. Ma è avvenuto molto raramente che i sindaci si occupassero di salute non solo formalmente, a Roma.

Noi non sappiamo quanto durerà la pandemia. Ma sappiamo che con le misure di distanziamento e di igiene, col tracciamento dei casi e gli screening di massa, con i vaccini, adottando una diversa organizzazione sociale, possiamo attenuarne i danni, fino a farla scomparire.
Se però continuiamo a restare bloccati dalla paura, divisi tra fazioni a sostegno di questa o quella ipotesi (senza dati), pronti a individuare “colpe” (runner, giovani, turisti all’estero, movida, etc), quando parliamo di un virus e non di un flagello morale,  dobbiamo prepararci a un letargo di anni. Anche a Roma.

[La foto del titolo è di Cristian Carrara ed è stata diffusa su Flickr.com con licenza creative commons]

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