“Privilegiati”, ma senza stipendio

Poco più di un anno fa una carica della polizia a un gruppo di lavoratori di Roma Metropolitane, sindacalisti e consiglieri comunali proiettava in prima pagina un’azienda meno nota dei colossi ATAC e AMA, ma che maneggia i colossali appalti inerenti la mobilità cittadina. Allora la notizia era che la società era appena stata messa in liquidazione dall’Amministrazione Raggi, oggi è che non ci sono i soldi per pagare ai circa 150 dipendenti di Roma Metropolitane gli stipendi di novembre. Un episodio tra i tanti – qualcuno potrebbe commentare – in un periodo in cui la pandemia ha moltiplicato chiusure, cassa integrazione, contratti non rinnovati, e il blocco dei licenziamenti in atto da marzo è destinato prima o poi a essere rimosso.

Qui però si tratta di un’azienda di Roma Capitale e il fattaccio avviene proprio mentre c’è chi usa anche la pandemia per stigmatizzare i “privilegi” dei dipendenti pubblici, quelli che – Giuseppe Conte dixit – “godono di maggiore protezione e riescono ad accumulare maggior risparmio rispetto al passato”, insomma chi al pari di  infermieri, vigili del fuoco, autoferrotranvieri merita di veder celebrata la propria essenzialità purché non chieda che gli venga riconosciuta non solo a parole. In questo caso poi si tratta di lavoratori che – sottolineano i sindacati – nei mesi scorsi hanno svolto attività neppure previste dal contratto di servizio che li lega al Comune di Roma per evitare il blocco di alcuni cantieri e la perdita di finanziamenti del Recovery Fund per opere dell’importo di oltre 10 miliardi di euro.

La sindaca Virginia Raggi in visita al cantiere della Metro C di Fori Imperiali, a luglio di quest’anno. Foto di Roma Metropolitane

Parlando con Luigi Venturini, delegato sindacale della FILT CGIL in Roma Metropolitane, emerge una realtà che ha poco a che fare con lo stereotipo dei privilegiati: contratto della logistica, stipendi fermi da 15 anni, nessun salario integrativo aziendale, lo spettro del fallimento e 150 lavoratori messi sulla graticola in un’operazione presentata dalla giunta Raggi come un’esemplare crociata contro gli sprechi di uno dei tanti carrozzoni pubblici, ma che scavando appare piuttosto come un’esemplare operazione di taglio del costo del lavoro (e del servizio pubblico).

Che cos’è Roma Metropolitane e di che cosa si occupa?
È un’azienda partecipata al 100% dal Comune di Roma e si occupa della progettazione e delle gare d’appalto per quanto riguarda le nuove linee della metropolitana e quelle su ferro in superficie (tram, filobus).

Puoi ricapitolare le disavventure aziendali e spiegare perché siete in crisi e da quando?
La società risale all’epoca delle amministrazioni di Veltroni e Rutelli, per cui c’era stato qualche problema già con Alemanno, ma allora si trattava più di beghe politiche che di problemi finanziari veri e propri. Poi la situazione è precipitata tra il 2015 e il 2016, cioè tra la fine del mandato di Marino e l’inizio del mandato Raggi [in mezzo c’è stato il commissariamento di Tronca, NdR]. La futura sindaca da candidata fece il giro delle partecipate spiegando che la metropolitana non era in cima alla lista delle priorità. Poi arrivò una nota della ragioneria a stabilire che dovevamo costare di meno e a fine 2017, quando si è trattato di rinnovare il contratto di servizio che lega Roma Metropolitane al Comune, è iniziata la barzelletta della discussione sul tipo di contratto. Alla fine, l’Amministrazione ci ha imposto un ribasso automatico del 40% sui costi, come se fossimo un’azienda che produce beni o servizi sul mercato. Ma noi facciamo progettazione, direzione dei lavori, fungiamo da stazione appaltante e quindi i nostri costi sono quelli che sono, abbiamo Roma Capitale come committente unico, non vendiamo beni o servizi sul mercato, quindi non abbiamo ricavi e margini di manovra sui costi. La stessa OICE, l’organizzazione delle società di ingegneria, architettura e consulenza economica aderente a Confindustria, da cui è stato tratto il dato del ribasso medio del 40% negli appalti, dichiara che si tratta di un coefficiente troppo alto e comunque non applicabile ad attività come la nostra. Il risultato è che Roma Metropolitane non riceve dal proprio azionista e committente unico i fondi necessari a coprire i costi del lavoro che questo gli affida.

Questo però in soldoni significa che l’Amministrazione ha scelto di affossare una propria azienda. Come sindacato o come dipendenti riuscite a darvene una spiegazione?
Per un verso l’impressione è che abbiano voluto coprirsi dall’accusa di fare concorrenza sleale a chi opera sul mercato, ma è chiaro che una stazione appaltante non può essere affidata al mercato. Poi da quando sono arrivati Lemmetti come assessore al bilancio e Giampaoletti come direttore generale del Comune [da pochi giorni ad di ATAC, NdR] Roma Metropolitane è assurta a simbolo dei carrozzoni pubblici che sperperano i soldi del contribuente. Anche se il Dipartimento Mobilità di Roma Capitale ci ha fatto i conti in tasca e finora non è riuscito a individuare una responsabilità dell’azienda o di qualcuno all’interno dell’azienda per le colpe terribili che ci vengono attribuite. Dirò di più: questa giunta ha nominato ben cinque amministratori col compito di “far pulizia” e ogni volta che uno di questi ha dissentito è stato cacciato.

Il logo di Roma Metropolitane, da Wikipedia

All’origine delle accuse che hai citato ci sono i debiti aziendali e i famosi bilanci che non si riescono a chiudere da cinque anni.
Sì, il 4 novembre 2016 la Raggi, da poco sindaca, dichiarò che non ci avrebbero ricapitalizzato, cioè che non intendeva farsi carico dei debiti per circa 6 milioni. Poi invece il bilancio 2015 venne chiuso in pareggio. Restano, certo, delle sofferenze, ma non di quell’ordine di grandezza. A quel punto però l’Amministrazione ha cambiato strategia, attribuendoci l’onere di pagare il conto delle sentenze sui contenziosi tra Roma Capitale e alcune società che hanno lavorato negli appalti per la mobilità. Quelle cause, partite con richieste economiche altissime, alla fine hanno visto i tribunali riconoscere risarcimenti di pochi milioni di euro, quanto basta però per portare al pignoramento del conto corrente aziendale. Il problema è che non si capisce perché Roma Metropolitane debba pagare per dei contenziosi tra il Comune e alcune società private.

Lo scorso autunno la società è stata messa in liquidazione e come sindacato avevate denunciato 50 esuberi, che la sindaca però ha smentito, e che nei mesi scorsi sono diventati 29.
Esatto, il 21 ottobre 2019 il Comune ha messo in liquidazione Roma Metropolitane e noi abbiamo fatto notare che c’erano in ballo 50 posti di lavoro, minacciati da un piano industriale stilato dal precedente amministratore e inteso esclusivamente a ridurre i costi. Poi quei 50 sono diventati 40  e ora 29, anche perché almeno una quindicina di colleghi sono andati o in procinto di andare in pensione, oppure sono andati a lavorare altrove. Quel numero, per altro è stato comunicato alla Regione Lazio, in adempimento alla legge Madia, ma senza interpellare i sindacati, come la stessa legge prevede. E così un giorno ci hanno chiamato dalla Regione per chiederci se avevamo 29 esuberi di cui non sapevamo nulla. Al tema dell’occupazione e delle relazioni sindacali si aggiunge una costante guerra sugli accordi di secondo livello. Ormai gli unici benefit che ci sono rimasti sono il rimborso di parte delle spese per l’asilo nido, la tessera dell’autobus, i buoni pasto – anch’essi contestati perché sono da 10 euro, mentre nelle altre partecipate sono perlopiù da 7,50 – e la mutua integrativa sostitutiva di quella prevista dal nostro contratto nazionale. Perché siamo inquadrati col contratto della logistica invece che con quello dei trasporti, per cui abbiamo una sanità integrativa tarata sui problemi di salute di chi sta otto ore al volante, non di chi bandisce appalti.

Una società partecipata che fa appalti e applica il contratto degli autisti di Amazon è un caso abbastanza unico. Scusa, quanto guadagnate?
È difficile indicare uno stipendio medio. Tempo fa qualcuno ha avuto la brillante idea di dividere il costo del lavoro, che si aggira sui 5-600mila euro al mese, per il numero dei dipendenti attribuendoci stipendi faraonici. La realtà è che siamo intorno ai 1.500 euro al mese, ma, per citare il mio caso, io prendo lo stesso stipendio da ormai 15 anni.

In virtù di cosa, scusa?
In virtù del fatto che dopo il famoso blocco degli stipendi pubblici di Tremonti è rimasto tutto fermo.

Anche qui siete un caso unico, perché il blocco di Tremonti riguardava i dipendenti pubblici, mentre voi siete una srl, una società di diritto privato. E per quanto riguarda i premi di produzione? Prima parlando di secondo livello non ne hai accennato…
Sul primo punto in realtà inizialmente il Comune di Roma aveva tentato di applicare il blocco degli stipendi anche ai dipendenti di ATAC e delle altre partecipate, ma ci fu una reazione e alla fine non se ne fece nulla. Per quanto riguarda i premi di produttività da noi, a parte una breve parentesi dal 2010 al 2012, non li abbiamo mai avuti.

E ora vi hanno annunciato che non ci sono i soldi per pagare gli stipendi di novembre.
Esatto, perché il famoso conto corrente aziendale è bloccato per via del pignoramento del conto. Un paio di settimane fa c’è stata una riunione della Commissione Mobilità del consiglio comunale, in cui il responsabile Di Lorenzo ha fatto una disamina dei problemi e ha presentato una proposta, fondata giuridicamente, per poter pagare gli stipendi senza essere bloccati dalle rivendicazioni dei creditori. Ma l’assessore Lemmetti e la ragioneria hanno detto di no, per cui allo stato attuale sappiamo che il primo dicembre, invece del 27 novembre, ci dovrebbero versare un acconto dello stipendio di questo mese. Ma è chiaro che a dicembre, con un pezzo di stipendio arretrato, quello di dicembre e la tredicesima da versare o trovano i soldi entro il 31 oppure si portano i libri in tribunale.

Come sindacato cosa intendete fare?
Dal punto di vista sindacale la situazione è molto difficile. L’azienda ha scrupolosamente applicato i dettami dell’ultimo Dpcm facendo massiccio ricorso allo smart working. Gli uffici aprono tre volte a settimana con un numero molto limitato di lavoratori, mentre gli altri sono a casa. Perciò organizzare una manifestazione è molto complesso. In più in passato andavamo a manifestare sotto il consiglio comunale, ma oggi le sedute si tengono in videoconferenza. Stiamo provando comunque a reagire, stiamo facendo comunicati per cercare di tenere viva l’attenzione sui media, abbiamo anche chiesto il sostegno dei colleghi delle altre partecipate, ma è chiaro che siamo una realtà piccola di 150 lavoratori e questo favorisce il nostro isolamento.

Lo scorso ottobre c’era stata una manifestazione dei sindacati delle partecipate che sembrava preludere a una mobilitazione generale. Come mai poi si è fermato tutto?
In quel caso erano stati i sindacati territoriali cittadini e regionali a muoversi ed è chiaro che la massa di 25.000-27.000 lavoratori di tutto il comparto delle aziende partecipate aveva un peso ben maggiore. Poi la sindaca Raggi ha cercato di recuperare il rapporto coi sindacati, anche per recuperare dopo alcune battute infelici, lanciando l’idea di un “progetto Roma”. Alla fine però anche questa si è rivelata una delle tante promesse non mantenute di questa amministrazione.

L’Azienda, interpellata, ha risposto che al momento non intende esprimersi sulla vicenda. L’assessorato competente di Roma Capitale, invece, non ha nemmeno risposto.

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