Proietti, il lutto in modalità “smart”

Era il 27 febbraio del 2003, quando quasi mezzo milione di romani si riversarono in piazza San Giovanni per dare l’ultimo saluto ad Alberto Sordi. Fra questi anche un commosso Gigi Proietti, che, come usa spesso fra noi romani, ricordò l’amico e il collega scomparso con un sonetto, composto per l’occasione.
Altri tempi, ormai inimmaginabili. Giovedì 5 novembre 2020, infatti, il lutto cittadino proclamato per la morte dell’indimenticabile Mandrake di “Febbre da Cavallo”, avviene, per così dire, “in modalità smart”, cioè senza l’abbraccio e l’affetto della città, costretta a rimanere a distanza. Ed è la prima volta che ciò accade per la morte di un personaggio tanto popolare.

Sono tempi di pandemia e, in linea con le norme e i DPCM vigenti, solo 60 persone possono essere autorizzate ad entrare nella chiesa degli Artisti di piazza del Popolo, dove hanno luogo le esequie, con l’intera area bloccata e vietata al transito, per evitare assembramenti anche all’esterno.
“Gli omaggi e la cerimonia funebre, che si terranno nella stessa giornata, si svolgeranno in forma strettamente privata ma, in accordo con la famiglia dell’artista, verranno trasmesse in diretta su Rai Uno”, hanno dichiarato intanto dal Campidoglio.
I funerali di Gigi Proietti sono dunque la rappresentazione plastica di cosa significhi morire ai tempi del Covid, quando tutto, anche ciò che vi è di più sacro, viene svolto in “video” anziché in presenza.

Le cerimonie funebri sono, da millenni, il rito per antonomasia, quello che testimonia la cultura e la più profonda essenza di una comunità. Già nell’antica Roma, i funerali rappresentavano un momento centrale e importantissimo. Le esequie avvenivano sempre seguendo regole precise, con un’ampia partecipazione popolare e con un immancabile contorno di portatori, di suonatori e di prefiche (le donne che avevano il compito di piangere il defunto), in cerimonie pubbliche che, per i più poveri, venivano pagate dallo Stato. Se un morto non fosse stato onorato secondo i riti, infatti, la sua anima sarebbe rimasta a vagare sulla terra, disturbando per l’eternità tutti coloro che si erano sottratti al dovere di rendergli onore.

Non so se l’anima di Proietti resterà a vagare su Roma. So però che niente più di questo estremo saluto virtuale poteva dare il segnale di quanto il Covid stia davvero modificando tutto, stia trasformando intimamente il nostro mondo e la nostra cultura, colpendone anche gli aspetti ancestrali, quelli fondanti, quelli che prima degli altri ci fanno essere una comunità. Non solo la vita, ma anche la morte viene oggi smaterializzata, resa impalpabile, separata da noi per mezzo di uno schermo, resa accessibile solo immettendo la password di un qualche wi-fi.

Mala mors necessitatis contumelia est, una brutta morte è un’offesa del destino, diceva il drammaturgo romano Publilio Siro, aggiungendo poi ubi omnis vita metus est, mors est optima, quando la vita è una continua paura, la cosa migliore è morire. Parole che suonano profetiche e sinistre in tempi come questi.

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