Pasolini e il “sacro” Idroscalo

Sono trascorsi quarantacinque anni da quando, nella notte fra il primo e il due novembre del 1975, Pier Paolo Pasolini venne brutalmente ucciso all’Idroscalo di Ostia: estremo lembo della città verso il mare, luogo di confine, dimenticato, su cui aleggia una sorta di “leggenda nera”, che lo vuole regno di degrado e di malavita, di abusivismo “senza tetto né legge”, sempre ai margini della società civile. È una leggenda che si è amplificata ulteriormente negli ultimi anni, da quando Ostia viene narrata come terra di nessuno, porto franco di mafia e di spaccio, di violenza e di clan, non solo sulle cronache dei giornali, ma anche in molte fiction e molti film, che immancabilmente raccontano il litorale di Roma come una Casal di Principe de’ Noantri. Ma cos’è davvero l’idroscalo di Ostia, oltre alla scenografia macabra di un vecchio crimine e di nuovi sceneggiati televisivi? Ha un fondamento la cupa leggenda che si è creata attorno a quel nome? Chi vive lì? Da quanto tempo?

La nascita dell’Idroscalo

Era un bel giorno di primavera, quando, il 21 aprile 1928, alla presenza delle più alte autorità, l’Idroscalo di Ostia veniva inaugurato. I lavori erano stati avviati su progetto dell’ingegner Raffaele Tarantini, pluridecorato ufficiale della Grande Guerra, e avevano visto un’imponente opera di innalzamento del terreno, per evitarne l’insabbiamento, oltre al restauro della vicina Tor San Michele (un’antica torre rinascimentale, progettata da Michelangelo), che doveva fungere da faro e da torre di controllo. Fra i presenti alla cerimonia inaugurale, spiccava anche la figura di Sua Eccellenza Italo Balbo, che qualche mese dopo sarebbe tornato qui per inaugurare due nuove linee aeree internazionali e cinque anni dopo, il 12 agosto del 1933, vi sarebbe ammarato trionfalmente, al termine di una trasvolata atlantica, seguita in tutto il mondo e che tanta gloria avrebbe portato all’aviazione italiana. Gli ultimi anni della seconda guerra mondiale, dovevano però colpire mortalmente Ostia e il suo Idroscalo. Una serie di bombardamenti danneggiarono seriamente le strutture. L’area venne così abbandonata, rimanendo deserta e dimenticata per circa un ventennio.

Tor San Michele. Foto di Sergio Russo diffusa su Flickr.com con licenza creative commons

Gli anni Sessanta

Con il boom economico degli anni Sessanta e la nascita delle ferie di massa, qualcuno cominciò a ricordarsi dell’Idroscalo. È in quegli anni che alcune decine di famiglie romane, alla ricerca di una zona balneare in cui soggiornare durante l’estate, pensano bene di restaurare le vecchie costruzioni dell’Idroscalo abbandonato. Altri, poco dopo, cominciano a costruire nella zona delle nuove abitazioni, finendo così per realizzare un piccolo insediamento di seconde case. Presto però, con l’aumento dei prezzi del mercato immobiliare, a questa prima ondata di abitanti stagionali, se ne aggiungono altri più stanziali, fino a costituire, poco alla volta, un intero quartiere abusivo sulla foce del Tevere. È quella piccola “borgata spontanea”, in cui finiscono per abitare circa cinquecento famiglie, lo scenario che accoglierà Pasolini nella tragica giornata d’inizio novembre del 1975.

Foto di Massimo Camussi diffusa su Flickr.com con licenza creative commons

La morte di Pasolini

Oltre ad aver generato la leggenda di un Idroscalo come luogo di morte e di crimini, la notte fra il primo e il due novembre di quarantacinque anni fa, generò anche il florilegio di ipotesi sui veri killer e mandanti che si celavano dietro la fine di uno degli intellettuali più controversi del Novecento. Se la verità processuale vuole che l’atto venne compiuto da Pino Pelosi, all’epoca minorenne e amante occasionale di Pasolini, moltissime congetture sono state fatte da allora su quel delitto. La più suggestiva e inquietante fu raccontata in una intervista del 1999 da Giuseppe Zigaina, pittore e amico del poeta, che, descrivendo uno scenario degno di un romanzo di Dan Brown, affermò che la morte di Pasolini non fu dovuta a un omicidio, bensì a un “suicidio rituale”, con Pasolini stesso quale mandante della propria uccisione e con l’Idroscalo di Ostia scelto accuratamente quale palcoscenico dell’evento, in quanto “luogo sacro”.

Foto di August Brill diffusa su Flickr.com con licenza creative commons

“Pier Paolo voleva realizzare un film sugli agricoltori primitivi – racconta Zigaina – occuparsi di paleo-agricoltori significa per forza occuparsi dei loro sacrifici umani per propiziare abbondanti raccolti. E infatti Pasolini, col proprio sacrificio, spera di procurarsi raccolti culturali come poeta. Sceglie di farsi ammazzare a Ostia, dal latino hostia, che vuol dire foce, ma anche vittima sacrificale. La particola che il sacerdote consacra durante la messa. “È proprio all’Idroscalo che sfocia il fiume Tevere. È quello il luogo mitico e simbolico, la foce, dove le acque dolci si mescolano a quelle salate del Tirreno, in un continuo scambio fertile fra terra e mare, fra realtà e immaginazione, fra concretezza e spiritualità. In questa ricostruzione l’omicidio non poteva avvenire che lì.

La nascita del porto

Quel 1999 in cui appare l’intervista a Zigaina, è anche l’anno in cui si avviano i lavori per la costruzione del nuovo porto turistico di Ostia, che verrà inaugurato con l’inizio del nuovo secolo, nel 2001. Il porto, che sorge proprio nella zona dell’idroscalo, rischia di stravolgere il volto di quell’area, ancora densamente abitata, sebbene a forte rischio idrogeologico e al di fuori da ogni piano regolatore. Tutte le concessioni sulla zona vengono pertanto interrotte e inglobate nel progetto del nuovo porto, per il quale è prevista anche una successiva estensione; un’estensione che implica la necessaria demolizione di tutte le abitazioni del quartiere. Il 23 febbraio 2010, un’ordinanza della Protezione Civile porta perciò allo sgombero e all’abbattimento di una trentina di costruzioni presenti all’Idroscalo e al trasferimento degli abitanti in alloggi di emergenza.

Foto di Alessandro diffusa su Flickr.com con licenza creative commons

 

Sembra il preludio della fine per quella “scenografia di morte” e per quella “borgata spontanea” che è l’Idroscalo di Ostia. Ma nel 2015, improvvisamente, il meccanismo si inceppa: il porto turistico viene posto sotto sequestro dopo l’arresto del suo presidente, Mauro Balini, accusato di bancarotta fraudolenta, emissione di fatture false, riciclaggio e corruzione, Gli sgomberi e le demolizioni vengono interrotte. Il tempo all’Idroscalo torna così ad essere sospeso, quasi come se quell’area, forte del suo aspetto misterioso e sacro, non possa che continuare a essere fuori dal mondo e dalle leggi degli uomini, a vivere di regole e di leggi diverse e speciali, non scritte perché più alte, sacre ed insondabili.

Foto di Pietromassimo Pasqui diffusa su Flickr.com con licenza creative commons

Da Idroscalo a Punta Sacra

È proprio questa la tesi che ispira, quest’anno, la realizzazione di quello che a prima vista sembra solo un docufilm, presentato a ottobre alla Festa del Cinema di Roma. Si tratta però di molto di più, almeno nella visione della sua autrice Francesca Mazzoleni: il film è, infatti, un tentativo dichiarato non solo di cambiare definitivamente la percezione dell’Idroscalo da parte dei romani, ma anche di smontare per sempre le leggende nere legate a quel luogo e addirittura di cambiarne il nome. Non più “Idroscalo”, ricordo di una gloria aviatoria che ormai non ha più nessun legame con quei luoghi, oltre che di una morte violenta, bensì “Punta Sacra”, che è poi proprio il titolo del film.

Quasi per paradosso, il tentativo di cancellare il legame dell’Idroscalo con la memoria tragica della fine di Pasolini, comincia dunque con la realizzazione di una delle opere più pasoliniane che siano apparse da lungo tempo: un film che ha per protagonisti i veri abitanti di quei luoghi, che è il racconto della quotidianità dell’ultimo lembo di Roma in cui ancora esistano i “ragazzi di vita”, quelli descritti sessantacinque anni fa dallo scrittore friulano, con le loro contraddizioni e la loro vitalità irrefrenabile.

Quell’Idroscalo, anzi, quella “Punta Sacra”, che viene raccontata appare dunque come un luogo in cui le leggi e le regole che vigono altrove sembrano sospese, in una sorta d’inatteso ribaltamento fra il bene e il male, ben descritto da Stefano Portelli, un antropologo che ha contribuito alla realizzazione del documentario: “Gli abitanti di Punta Sacra, chi più e chi meno, hanno deciso di rinunciare a una serie di privilegi di base – la privacy, l’asfalto, i servizi, la proprietà, i trasporti, il “buon nome” – per coltivare un tipo di privilegi molto più rari: il sostegno reciproco, il riconoscimento, il rispetto per la diversità, la libertà. Ci sono liti e problemi; ma nessuno viene cacciato, nessuno viene escluso”.

Ogni comunità ha bisogno dei propri miti fondanti che, per funzionare, devono essere nobili e positivi. È per questo che la comunità degli abitanti dell’idroscalo, schiacciata dalla fama negativa che da sempre li accompagna, ha deciso di sposare appieno la nuova immagine dei luoghi trasmessa da quel film, la leggenda non più nera ma positiva che si desiderava far nascere, partecipando in massa alla sua realizzazione e attivandosi per promuovere e far conoscere l’opera, capace forse di creare una nuova narrazione e una diversa percezione di quel “luogo maledetto”.

Dunque, fra qualche anno, il nome Idroscalo potrà davvero sparire anche dal ricordo dei romani, come si prefiggono la regista e gli abitanti di quelle aree, sostituito da quello ben più nobile di “Punta Sacra”? È

presto per dire se ciò accadrà davvero. Di certo quell’ultimo lembo di terra prima del mare resta il più concreto simbolo di uno strano ibrido, in cui convivono degrado e vitalità. È una sorta di luogo arcaico e preistorico, dove in pochi vorrebbero vivere, ma senza il quale, forse, saremmo tutti più aridi. “Niente funzionerebbe senza posti come questo – è ancora l’antropologo Stefano Portelli a parlare – è più importante delle leggi, del mercato, dei servizi sociali, perché viene prima: è il diritto universale ad avere un posto dove stare, indipendentemente da chi sei, da dove vieni e da cosa fai. C’era prima che nascesse la civiltà, lo stato e le sue leggi… Questo posto è sacro, perché rappresenta il legame sociale fondamentale senza cui nessuna città può funzionare”.

 

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