L’indagine scatologica: cap. 20

Ventesima puntata del romanzo giallo d’appendice “Mario Marco e l’indagine scatologica”. Ovviamente, questa è un’opera di fantasia. Ogni riferimento a fatti e persone reali è puramente casuale.

 

23 DICEMBRE

 

Sullo schermo scorreva una serie ininterrotta e misteriosa di numeri e di sigle, un flusso bianco su sfondo celeste il cui senso sfuggiva completamente a Mario Marco. Avrebbe preferito trovare una rivista, una rivista qualsiasi, anche quella del dopolavoro bancari. Invece no, niente riviste o giornali, la sala d’attesa era dominata da questo mega-televisore che trasmetteva le quotazioni di borsa. Ogni tanto qualcuno dei clienti si alzava e andava a smanettare sulla tastiera con una apparente competenza che lasciava Mario Marco sconcertato, e un po’ invidioso.

– A quanto stanno le Ina? – Chiese un operaio in tuta al collega, che trafficava con la consolle.

– Alla partenza andavano bene, mo’ meno.

– Pensa che mio cognato me ne voleva far comprare un bel po’. Ma secondo me è una sòla.

– Era lei che aspettava il dottor Bennato? – chiese l’usciere a Mario Marco. Il commissario fece cenno di sì con la testa, si alzo e seguì l’uomo in grigio.

– Dottore! Poteva farmi dire che era lei – il funzionario gli andò incontro con un sorrisone – Sa, il nome mi diceva qualcosa ma non ero sicuro che fosse lei.

– Lasci stare, lasci stare. Non sono qui in veste ufficiale, non volevo disturbare…

– Ah – fece Bennato, aprendo la bocca nello sforzo improbo di sorridere ancora un po’ di più, se possibile, – Allora è venuto per il pacchetto di servizi che offriamo ai suoi colleghi: gliene hanno parlato? Agevolazioni, la carta di credito a costo zero, le utenze, l’iscrizione al club sportivo, le offerte e…

– No, guardi, non sono qui come cliente, non ancora, diciamo – lo interruppe Mario Marco.

– Ah no? – fece Bennato, mentre il suo sorriso precipitava dal naso al mento.

– No. Sono qui per chiederle una cortesia, come l’ultima volta, sa.

– Ecco, mi mette un po’ in imbarazzo – ora il funzionario era sulla difensiva. – Sa, non che io non voglia fare il mio dovere, ci mancherebbe altro. Però, di solito, con il vicequestore…

– Ecco, in questo caso sono costretto a bypassare il vicequestore – disse Mario Marco, lanciando l’esca.

– In che senso, mi scusi?

– C’è una questione molto delicata, Uno-A. capisce?

– No, mi scusi, io…

– Scusi, ma lei non ha fatto il poliziotto? – fece Mario Marco, con l’aria un po’ spazientita.

– Sì, ma come ausiliario, sa al Ministero…

– E non sa niente della Disciplinare? Uno-A non le dice niente? Sicuro? Mi scusi, pensavo che… fa niente, le devo le mie scuse, non volevo metterla in imbarazzo. Ecco, guardi, questa conversazione non c’è mai stata, la saluto – Mario Marco si avvicinò alla porta.

Il funzionario scattò sull’uscio per bloccare il passo al commissario, mettendoci tutto il suo considerevole peso: – Mi scusi, dottore, se posso esserle utile… mi scusi se le sono sembrato scortese… non potevo immaginare… sono a sua disposizione… ci mancherebbe… non c’è neanche bisogno che mi spieghi…

Bennato recitò un rosario di scuse. Ma come? Il commissario lo stava portando a contemplare da vicino uno dei grandi misteri della burocrazia, gli stava per rivelare una santa verità della sicurezza nazionale, lo stava mettendo in comunione diretta con lo Stato, lo stava iniziando ai misteri della classificazione (Uno-A! Uno-A! Che può esserci di più riservato, di più segreto di qualcosa classificato come Uno-A?) e lui faceva di tutto per sembrare il solito incapace?

Ringraziamo San Culo, pensò Mario Marco. Adesso doveva trovare qualcosa da raccontare al funzionario, qualcosa di convincente, e poi dare un’occhiata alle carte di Carmela Villa. Non era ancora riuscito a capire cosa c’entrasse la moglie del meccanico pregiudicato in quel casino.

– Guardi, c’è poco da spiegare, ed è anche meglio per lei perché così evita di trovarsi in mezzo a qualche casino… glielo dico perché lei sa che devo informare chi di dovere delle informazioni riservate che le sto dando, una questione di procedure… – disse il commissario – Dovrebbe darmi data di nascita, indirizzo e telefono, codice fiscale…  Le sto per fornire alcune informazioni riservate. Cose di cui non può parlare con nessuno. E quando dico nessuno, intendo nessuno, neanche il suo cane. Ce l’ha un cane, lei? Ecco, tra qualche giorno, potrebbe ricevere la visita di un collega per un controllo…

Il funzionario, solerte, scrisse i suoi dati su un foglio di carta intestata della banca, poi si bevve tutta la storia che Mario Marco aveva confezionato lì per lì. C’era un alto magistrato – il commissario non disse mai il nome, si limitò a seminare qualche indizio per far capire che si trattava del giudice più importante d’Italia – che stava indagando sui rapporti tra mafia finanziaria giapponese e mafia italiana. Nell’inchiesta erano coinvolti alcuni uomini politici, alti funzionari dello Stato, etc. etc. Insomma, una specie di Tangentopoli due. Lui, Mario Marco, era uno degli investigatori incaricati di seguire alcuni personaggi minori, pesci piccoli o semplici ufficiali di collegamento. L’altra volta era venuto in banca accompagnato da Paolini per una cosa di routine, soprattutto per mettere alla prova il funzionario, vedere come se la cavava. Un lavoro in incognito, il suo, neanche il dirigente del commissariato doveva sapere, per non compromettere l’operazione. L’unico a sapere era lui, il funzionario di banca Antonio Bennato, agente (ex agente ausiliario, ma Mario Marco sorvolò su quel particolare di scarsa importanza) di polizia.

Bennato non se lo fece dire due volte. Si attaccò al terminale con la faccia di un ragazzino al primo giorno di scuola, quando non sa ancora cosa lo attende, là dentro.

– Mi deve dare un po’ di tempo – disse a Mario Marco mentre sollevava la cornetta del telefono – la faccio chiamare dall’usciere.

 

Un’ora più tardi, Bennato consegnò al vicecommissario una lunga striscia di carta appena uscita dalla stampante.

– Ecco qua, questo è tutto quello che c’è, e anche qualcosa di più – disse orgoglioso.

– Lo sapevo, sapevo di potermi fidare di lei – lo blandì Mario Marco, rimirando il dossier. E sperando nel frattempo che il funzionario non cominciasse a farsi qualche strana domanda su Uno-A e altre stronzate del genere.

 

Quella sera, con la luce bassa sul tavolo, come giocatori di poker, si erano messi a controllare i dati, le carte, tutti quei numeri. Quasi subito avevano trovato le tracce di un bonifico bancario a molti zeri. Subito dopo aver ricevuto tutto quel ben di Dio, la donna aveva acceso un mutuo con la banca. Strana procedura. Insolita. Tanto più che quel mutuo era servito per l’acquisto di una proprietà, un terreno. Che terreno?, si erano chiesti Mario Marco e Galletti. La mattina dopo, il giornalista avrebbe controllato con un’impiegata del catasto sua amica.

 

24 DICEMBRE

– Ta-daa! – Galletti comparve dietro la cameriera, sulla terrazza del bar. Due donne sedute a un tavolino, con gli occhiali da sole, si girarono a guardarlo. All’una e mezza, faceva caldo, troppo caldo. Quasi venti gradi. La primavera si era svegliata all’improvviso – e con un larghissimo anticipo – dal suo abituale letargo. Sicuramente, dopo la prima colazione sarebbe tornata a letto…

– Ho tutte le informazioni che ci servono.

– Siediti, e parla piano. Che vuoi da bere? – chiese Mario Marco, ripiegando il giornale. Era la prima volta da anni che ricomprava “Il Corriere dello Sport”.

– Campari – rispose il giornalista dopo aver un po’ esitato sul menù. Il commissario fece un gesto alla cameriera.

– Sai dov’è quel terreno che ha comprato zia Carmela? – disse Galletti, sistemandosi meglio sulla sedia – Proprio accanto alla proprietà del Geometra.

– Dove devono costruire Eurocartoon?

– Proprio lì. Torna tutto.

– Te l’avevo detto.

– Me l’avevi detto – rispose Galletti, allargando le braccia – Vediamo se ci siamo, allora. Il Geometra ha concluso un affare da miliardi per la costruzione di questo Eurocartoon.

– Esatto.

– Il Geometra è amico, o collega, o compare, o conoscente di Feroci. Però Feroci non è contento della fortuna del suo amico.

– Esatto.

– Feroci usa il vicequestore e, forse, Bordone. Sono loro che tengono d’occhio il Geometra. Paolini, Claudietto e la moglie, zia Carmela, sono controllati a loro volta dal vicequestore.

– Vai avanti.

– A Feroci questa cosa di Eurocartoon non va giù per niente. Magari Merola gli ha soffiato l’affare. Oppure hanno litigato, chissà? Allora, si prepara a fare la guerra al Geometra. É così?

– Penso di sì.

– Usando zia Carmela come prestanome, compra il terreno accanto a quello del Geometra. E perché proprio quello?

– Perché?

– Qui, se permetti, entra in scena il grande giornalista investigativo che, in una sola mattinata, con qualche chiacchiera, con il semplice aiuto di una carta topografica e un po’ di cervello ha fatto miracoli. Perché è solo da quel terreno che si può arrivare direttamente dall’autostrada alla proprietà del Geometra. Certo, bisogna costruire uno svincolo, ma è tutto nei progetti. L’unica alternativa è una piccola stradina di campagna che passa dalla parte opposta. Ma bisognerebbe ingrandirla, raddoppiarla, buttare giù gli alberi che la costeggiano. E poi, bisognerebbe anche ricoprire il canale di bonifica che delimita la stradina. Servirebbero un sacco di soldi e un sacco di tempo. Pensa a quanto ci vuole per far approvare i progetti con tante varianti, di questi tempi. E poi, metti in conto la protesta degli ambientalisti, magari di qualche comitato di quartiere, il deputato che ci mette bocca, eccetera eccetera.

– E allora?

– E allora: il Geometra ha venduto agli investitori americani il progetto dell’Eurocartoon assicurando che non c’erano problemi. Ma prima che riuscisse a mettere le mani sui terreni che gli servivano è rimasto fregato, Feroci è arrivato prima. Penso che sia andata più o meno così: mentre il Geometra era in trattativa con il proprietario, Feroci ha mandato avanti zia Carmela con una di quelle offerte che non si possono rifiutare. E chissà, magari, oltre a dargli tanti soldi, lo hanno anche minacciato. Così adesso Merola, se vuole chiudere l’affare con Eurocartoon, deve prima trattare con Feroci.

– Niente male, ma a questo punto, c’è qualcosa che non torna.

– Cosa c’è, che non ti torna?

– È chiaro, il Geometra sa tutto. È chiaro come il sole. Quando è andato dall’ex proprietario dei terreni, quello gli avrà detto: guarda, non è più con me che devi parlare adesso, io ho venduto tutto, amici come prima. E lui quanto ci avrà messo, un minuto, un minuto e mezzo a capire che è successo, che dietro c’è Feroci? Come lo abbiamo capito noi, ti pare che non lo ha capito anche il Geometra? E poi, quando giorni fa si sono visti a casa di Merola, con Bordone e D’Artibale… probabilmente era per trovare un accordo. Sì, è andata così, mi ci gioco una palla. E noi ce ne stiamo qui, in mezzo a questa specie di partita a scacchi tra due figli di puttana. E la storia delle lettere…

Mario Marco fece una pausa, mentre guardava le due donne che si alzavano. Una delle due aveva una gonna con uno spacco altissimo. L’altra, fasciata in un paio di pantaloni neri, si girò, fece un sorriso, poi sibilò qualcosa all’amica.

– E la storia delle lettere? – fece Galletti.

– … E la storia delle lettere, almeno delle prime lettere, non c’entra niente con il vicequestore, con Feroci. Non credo. Forse mi sono sbagliato. Forse si tratta davvero di un mitomane.

– La polizia brancola nel buio – disse Galletti, con un sorriso stirato.

– Quello che mi chiedo, è perché D’Artibale ha voluto che me ne occupassi io, di quelle cazzo di lettere.

– Magari è stato il Geometra a chiedere di te, su indicazione di Bordone – disse Galletti.

– E D’Artibale mi ha messo subito alle costole Paolini. Sì, è possibile. Ma perché poi allora il vicequestore ha fatto in modo che la storia uscisse fuori?

– Non lo so, immagino che sia una questione di tempi. Quando è stato effettuato il superbonifico sul conto di Carmela Villa? Il 15 novembre?

– Più o meno. E subito dopo è stato formalizzato l’acquisto del terreno. Sì, hai ragione. Qualche giorno dopo tu hai letto la mia relazione.

– Volevano smerdare il Geometra, e questa storia delle lettere gli ha dato un ottimo modo per farlo, disse il giornalista.

– E le altre lettere? Secondo te c’entrano qualcosa?

– Quelle che Merola ha ricevuto dopo la pubblicazione del mio articolo, intendi?

– Sì.

– No, immagino di no. Un fenomeno spontaneo. Roba da sociologia. Anzi, lo sai che mi ricorda? Agatha Christie – disse il giornalista, portandosi alla bocca il bicchiere. – Hai letto “Assassinio sull’Orient Express”? Be’, c’è Poirot che cerca invano l’assassino, pensando che sia una persona sola, invece alla fine scopre che sono stati tutti i passeggeri ad ammazzare a coltellate il tizio. Ognuno aveva un buon motivo per farlo.

Mario Marco non rispose. Stava pensando al caso. Alla casualità. Al destino. Era scritto da qualche parte che avrebbe incontrato Milva se non avesse sbagliato numero di telefono, confondendo il suo con quello del Geometra? E senza di lei, senza il suo aiuto, volontario o meno, sarebbe riuscito ad arrivare fin lì? Boh, si disse Mario Marco, stringendosi nelle spalle.

– Sono Mario Marco. So tutto.

Nonostante l’ora notturna, Bordone non sembrava affatto sorpreso – Sa tutto di che?

– Non mi prenda per il culo. So di Merola e di Feroci, dei terreni di Eurocartoon e della moglie di Claudietto. So tutto.

– E cosa vuole fare, adesso? – Non ha negato, pensò Mario Marco.

– Non lo so. Non lo so ancora. A ripensarci, mi manca ancora di sapere una cosa.

– Che cosa?

– È un po’ curioso, allora. Pensavo di non riuscire a interessarla, con le mie inchiestine da bravo poliziotto.

– Su, non la tiri lunga. Sono le tre di mattina.

– Credevo che quelli come lei non dormissero.

– Infatti non dormo. Sto tutta la notte in piedi a pensare come fottere gli altri. Lo dicevo per lei. Mi chieda quello che mi voleva chiedere.

– Lei che ruolo gioca in tutto questo?

– È così importante, per lei, saperlo?

– Sì.

Bordone sospirò – Lei gioca mai a Scala Quaranta?

–  Saranno anni che non gioco più.

– Ma se ricorderà le regole. Ecco, io sono il jolly. È contento? Ho risposto alla sua domanda?

– Ci penserò. Buonanotte.

– Buonanotte.

– No, aspetti, ho un’altra cosa da chiederle.

Bordone sospirò di nuovo – La ascolto.

– Le lettere che ha ricevuto il Geometra non c’entrano niente con tutta questa storia, vero?

– Era lei che avrebbe dovuto scoprirlo, no?

– Non me lo hanno lasciato fare. Non me lo avete lasciato fare.

– Ah, non cerchi scuse. Lei non è stato all’altezza.

– Me lo avete impedito. Lei e il vicequestore. Lo so benissimo. Lo sa benissimo anche lei.

– Lei non sa nulla. Sono stato stupido a fidarmi di lei, ad aiutarla, a darle confidenza. Lei è solo un ragazzetto. Anche con Milva, del resto…

– Lasci stare Milva.

– Anche con Milva si è comportato come un ragazzetto. Si sta comportando come un ragazzetto. Non ha capito…

– La lasci stare.

– Milva è una persona adulta, può fare quello che vuole. Può andare dove vuole. Può vedere chi vuole. Può fare l’amore con chi vuole.

– Lasciala stare o ti rompo il culo. Capito? Vengo lì e ti sparo. Lo giuro. Ti sparo, pezzo di merda. Lascia stare Milva, brutto frocio, lasciala stare.

– Ok, faccio finta di non aver sentito quest’ultima parte. L’avevo presa per un poliziotto democratico. Mi dispiace. Io l’ho avvertita. Anche adesso. Mi ha capito? Ah, comunque ho l’abitudine di registrare tutte le telefonate. Buonanotte. E Buon Natale.

 

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