Batti il tempo del lockdown

“È stato un colpo grosso, per noi è come se il lockdown ancora dura. È iniziato e non è finito. A parte qualche cosa, è tutto bloccato”. Così mi racconta Luca Mascini, alias Militant A, leader degli Assalti Frontali, che quest’anno spegne 30 candeline per Batti il tuo tempo, il pezzo di Onda Rosse Posse, la sua prima formazione, che ha contribuito alla storia del rap in Italia.

Incontro Luca a piazzale delle Gardenie, a Centocelle, quartiere che nella mappa dei contagi romani dentro il Grande Raccordo Anulare svetta verso l’alto. Dedicato al Covid c’è Una città fantasma che recita: “Alziamo il pugno da lontano quando ci incontriamo/ Le strade torneranno nostre questo lo giuriamo/ Con ogni mezzo necessario resistiamo”.

Foto per gentile concessione dell’autore, Claudio Sisto/Photopress

Come anche il pezzo nato lo scorso maggio, quando la caposala della Terapia Intensiva del Policlinico di Tor Vergata, gli chiede aiuto per scrivere un testo e fare una canzone rap in occasione della Giornata internazionale dell’infermiere. Militant A vede la foto di lei tutta bardata con le protezioni di sicurezza, non può dirle di no. Nasce così un instant rap, in pochissimo tempo, scritto con il personale sanitario: “Siamo infermieri, esseri umani/ e ci sporchiamo le mani”.

“Città Fantasma” recita: Alziamo il pugno da lontano quando ci incontriamo/ Le strade torneranno nostre questo lo giuriamo/ Con ogni mezzo necessario resistiamo

La grande comunità che porta avanti la cultura a Roma, la musica, il teatro, in questo momento “paga una crisi grandissima” mi racconta. E aggiunge: “Il live, il concerto, per vivere a livello economico è fondamentale. La vendita dei cd da almeno 15 anni non ha più una grossa importanza nel bilancio generale. I live sono tutto. Pure i centri sociali sono in grave difficoltà, le attività sono state trasformate in appoggio mutuo nel quartiere, come dare la spesa a chi ne ha bisogno. Speriamo che non arrivi un altro blocco totale, che va scongiurato”.

Luca, tornando ai tuoi 30 anni di lavoro come rapper. Cosa è cambiato da allora?
“C’è stata una grande evoluzione del mio linguaggio e del mio approccio che ha trovato una sintesi quando ho iniziato i laboratori dentro le scuole con Simonetta Salacone, la dirigente della scuola Iqbal Masih. Il primo laboratorio l’ho fatto sulla Costituzione, con i ragazzi sono venute fuori delle rime molte belle. Poi io le cantavo nei miei concerti e tanti mi dicevano: tu non eri quello di ‘senso dello Stato uguale zero’?”

Come hai risposto?
“In effetti è stata una contraddizione che mi sono vissuto.  Mi sono chiesto: che sta succedendo? A chi mi criticava ho risposo dovevamo imparare a vivere tutti quanti insieme, se vogliamo dei cambiamenti, anche perché nei miei concerti c’erano gli anarco-insurrezionalisti, ma c’erano anche i bambini e le maestre. Per tanti la Costituzione è stata tradita talmente tante volte che non ci credono più, però negli occhi dei bambini la Costituzione è qualcosa di importante, perché si rinnova. Quindi aver scritto quel pezzo con loro aveva una forza grandissima”.

Il rap di Enea come nasce?
“Un dirigente scolastico mi aveva chiesto se rifacevo l’Eneide in rap, i ragazzi faticavano ad imparare il libro di Virgilio. Allora io, rileggendo il testo, ho messo insieme tutti gli elementi. Enea è il papa di Roma, il papa di Romolo e Remo. Scappa da una guerra, un migrante, quindi un migrante che è il nostro fondatore, il fondatore della nostra città. E allora l’ho trasformata: Enea ma dove vai, dove vai / Senza il permesso di soggiorno, per te sono guai. / Forza partiamo che Eolo ci aiuti /  il mare fa paura, ma nono stiamo qua seduti /  Lo so, lo so ci sono i venti, le onde alte, la tempesta / Ma dobbiamo scappare o ci fanno la festa.

In questi anni il vostro pubblico è cambiato.
“Nel corso degli anni Novanta, noi siamo stati quelli dei centri sociali e quindi in qualche modo ai margini, in posti di periferia presi per ridargli nuova vita. In questo modo abbiamo accumulato un sapere, perché abbiamo fatto tutto da soli, rimettendo in piedi questi luoghi, senza istituzioni, etichette discografiche. Abbiamo fatto i dischi. Abbiamo imparato ad essere completamente indipendenti”.

E poi cosa è successo?
“A un certo punto ci siamo resi conti che non bastava più, che avevamo bisogno del resto della società, come il resto della società aveva bisogno di noi, perché ti iniziavano a togliere la natura che avevi intono, la parola, la scuola, la politica. La gente non sapeva più come comportarsi, quindi loro avevano bisogno di noi e noi di loro. Così ci siamo mischiati, abbiamo creato dei ponti. Per me il passaggio fondamentale è quando sono entrato nella scuola elementare con i miei figli (la Iqbal Masih al Casilino, ndr) e c’era questa dirigente Simonetta Salacone, una dirigente che non aveva paura di quello che veniva da fuori, valorizzava tutte le esperienze”.

Simonetta Salacone è stata protagonista di una scuola aperta, che non esclude ma include. La classe come primo luogo dove far crescere la cittadinanza. L’impegno per il tempo pieno, per la continuità didattica e tanto altro ancora. Simonetta come avrebbe vissuto questo periodo Covid-19?
“Questo è un momento di sfida. Bisogna essere molto creativi e coraggiosi. Simonetta avrebbe avuto sicuramente un ruolo positivo, come sempre l’ha avuto, per mettersi in gioco e trovare soluzioni. Ci sono molti dirigenti che dicono: quest’anno nella scuola la cosa importante è non andare all’ospedale e non andare in galera per non aver rispettato le norme, la didattica viene dopo. Invece penso che Simonetta avrebbe sempre messo la didattica al primo posto e la trasmissione del sapere. Al di là delle mascherine e tutto il resto, la scuola rimane una comunità educante, dove si apprende vicendevolmente, soprattutto con gioia e felicità. Questo chiaramente comporta essere un po’ coraggiosi e creativi nell’approccio, non paurosi”.

Nel corso degli anni Novanta, noi siamo stati quelli dei centri sociali e quindi in qualche modo ai margini… In questo modo abbiamo accumulato un sapere, perché abbiamo fatto tutto da soli, rimettendo in piedi questi luoghi, senza istituzioni, etichette discografiche

“…I mostri, i ‘machi’, i ‘ragazzi’ di Salò / difendere i più deboli è quello che farò / ciao fratello Willy Monteiro Duarte / la tua vita è stata un’opera d’arte…”: Sono i versi del tuo ultimo laboratorio rap nei giardini di Carlo Felice (San Giovanni), con ragazzi e ragazze di 12 anni. Com’è andata?
“Lavorando con i ragazzi abbiamo parlato di Willy, come un esempio del nostro presente. Gli ho chiesto cosa pensassero di questa vicenda e ne sono uscite fuori delle rime molto belle. Willy ha dato la vita per difendere un ragazzo in una situazione di difficoltà. Non si è tirato indietro, non ha voltato la faccia, ha aiutato chi era più debole in quel momento. È stato sopraffatto dalla violenza e dalla crudeltà. Willy resterà sempre nel nostro cuore come esempio di come comportarci”.

Da sempre Assalti Frontali è impegnato sul territorio.
“La mia idea rap è conquista il tuo quartiere e conquisterai il mondo, seduci il tuo quartiere e sedurrai il mondo, oppure conosci il tuo quartiere e conoscerai il mondo. Intendo dire di lavorare per la tua comunità come trampolino per essere un esempio per tutti gli altri”.

La tua arte è legata ai temi sociali e alla politica: come vivi questo tempo, da un punto di vista politico?
“Il mio percorso è sempre stato fuori dalle istituzioni e quindi pensando e lavorando in autonomia. Anche oggi non mi riconosco troppo nella politica del parlamento, nelle forze del parlamento, allo stesso tempo penso che la politica sia una cosa importantissima, quindi bisogna occuparsene, impegnarsi, però lo faccio in autonomia”.

Questo non esclude di parlare con chi c’è bisogno…
“Certo, il dialogo sempre, quando serve. Ad esempio una situazione bellissima è stata quella del lago della Snia, con la lotta di quartiere, come è stata quella al Pigneto, al Prenestino, a Casal Bertone, per la tutela di un tesoro naturale. Grazie alla mobilitazione dei cittadini, alla musica, siamo riusciti alla fine ad avere la tutela del lago ed anche il riconoscimento da parte della regione Lazio, come monumento naturale. E questo sono cose importanti”.

Roma si appresta a cambiare il sindaco.
Mi auguro soprattutto che ci sia partecipazione popolare, rinascita di una certa speranza nel futuro, perché purtroppo con questa cosa del Covid stiamo tutti vivendo alla giornata, aspettando di vedere cosa succede tra una settimana, tra un mese, e questa è una cappa che non aiuta. La cosa importante è la rinascita. Centocelle è il quartiere dove abito, ed ha vissuto degli attentati incendiari nell’ultimo anno che avrebbero potuto ripiegarlo nella paura, ma c’è stata comunque una bella risposta da parte dei cittadini che si sono organizzati nella libera assemblea di Centocelle, che hanno attivato delle forme di mutualismo, di aiuto che sono la prospettiva entro cui mi auguro il futuro. Noi abbiamo sempre dato una mano. Abbiamo fatto concerti in piazza. Vivere la propria città, il proprio quartiere, la propria piazza, cercando di viverla al meglio”.

Un protagonismo che da ‘Batti il tuo tempo’ ad oggi è rimasto lo stesso.
“’Batti il tuo tempo’ è stata la canzone che è diventata la colonna sonora, 30 anni fa, del movimento della Pantera, all’università, ma anche di chi occupava i centri sociali. Ed è stata adottata da quelle generazione che ha capito che non doveva più chiedere come si facevano le cose al ’77 o ai grandi movimenti che c’erano stati prima. Noi ci ispiravamo a loro, agli anni Settanta, ai Clash, a Francesco De Gregori, però allo stesso tempo avevamo voglia di fare delle cose nuove, di fare una nostra musica, nuovi modi di fare. ‘Batti il tuo tempo’ è arrivata in quel momento, incubata negli anni Ottanta, ed è stata fondamentalmente la prima canzone di rap in italiano. Ha rappresentato la discesa in campo di una nuova generazione, i centri sociali, che ha anche rinnovato la musica”.

Come celebrate questi 30 anni?
“Tra un po’ uscirà una raccolta, con tra l’altro le ultime canzone che raccontano di Centocelle, di Simonetta. Ci sono anche due pezzi nuovissimi che ho scritto in questo ultimo periodo. Una intitolata “Aria di libertà” che racconta velocemente la storia di questi 30 anni, e un’altra è invece un omaggio al compagno Orso che è morto in Kurdistan, ucciso dall’Isis, mentre combatteva per il Rojava: per noi un esempio di una persona, come Willy, che ha dato la sua vita per lottare per i deboli e per la libertà”.

Sei contento di quanto fatto finora?
Sì. Quando ho iniziato volevo fare la rivoluzione, in qualche modo. C’avevo una rabbia dentro grandissima, che poteva essere autodistruttiva, l’ho messa nella musica, è stata creativa e so’ contento così”.

 

[Le immagini sono tratte dalla pagina Facebook di Assalti Frontali]

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