Nathan, “er mejo sindaco”

In tutti i manuali, i libri di saggistica, le cronache capitoline, gli articoli sulle vicende politiche della città, alla domanda “qual è stato il migliore sindaco di Roma?”, la risposta degli esperti e degli storici, indipendentemente dalle loro provenienze e idee politiche, è pressoché unanime: Ernesto Nathan, il sindaco della belle époque.
C’è un’unità di voci positive sul suo conto, così grande e uniforme, da fare venire il sospetto che Nathan sia diventato quasi un’icona, un santino, l’immagine simbolica del bene per l’Urbe, la quintessenza di ogni tipo di scelta positiva per la città, un personaggio più leggendario che reale, immaginato talmente in sintonia con lo spirito di Roma da attribuirgli persino l’invenzione di alcune colorite espressioni romanesche, ancora oggi in uso.

Viene perciò voglia di capire come siano andate davvero le cose e quanto ci sia di vero o di fantasioso in questa immagine che ci è stata tramandata. Chi era in realtà questo Ernesto Nathan, questo super sindaco, che molti citano ad esempio di come si possa guidare Roma in modo onesto ed efficace?

Londinese di nascita, ebreo di religione, massone, dal 1896 gran maestro del Grande Oriente d’Italia, mazziniano per tradizione di famiglia (i suoi genitori, soprattutto sua madre, oltre a suo fratello Giuseppe, erano stati strettissimi collaboratori di Giuseppe Mazzini durante le lotte risorgimentali), quinto di dodici figli, Ernesto Nathan era arrivato a Roma nel 1871. Un ventiseienne carico di ideali repubblicani, anticlericali e risorgimentali e aveva ottenuto la cittadinanza italiana solo in età matura, nel 1888.
Da quel momento, però, si era sentito talmente italiano che, allo scoppio della Grande Guerra, ormai settantenne, sarebbe diventato un fervente irredentista, arruolandosi volontario per andare a combattere gli austriaci sul Col di Lana.

Già da questa sua breve scheda biografica, appare abbastanza chiaro come Nathan non somigli troppo allo stereotipo di un tipico italiano medio della sua epoca, sia da un punto di vista culturale che politico. Pronto ad assumersi in prima persona rischi e responsabilità, masticava poco quella politica di palazzo, fatta spesso di accordi di corridoio e di azzardi finanziari, che tanto spazio aveva preso nella Roma di fine Ottocento. La sua formazione, non fosse altro che per le sue origini anglosassoni, era più cosmopolita, la sua visione del mondo più idealista.

Nathan e la democrazia partecipata

La storia (e la leggenda) di Nathan mejo sindaco de Roma comincia nel 1907, quando un’alleanza di forze politiche, comprendente liberali di sinistra, radicali, repubblicani e socialisti, vince le elezioni a Roma. Iniziano così sei anni in cui Nathan e la sua giunta si sarebbero trovati a guidare forti trasformazioni nella vita della città, una città che, dai giorni della breccia di Porta Pia, aveva raddoppiato i propri abitanti e con essi anche i problemi.

La prima questione che il nuovo sindaco decide di prendere di petto è quella relativa all’istruzione pubblica. Grazie anche a una legge speciale dello stato che forniva finanze aggiuntive alle casse del Comune, Nathan avvia un grande programma di edilizia scolastica. Vengono realizzate nuove scuole, istituite biblioteche, giardini d’infanzia, ma anche realizzati corsi estivi di ripetizione, corsi di specializzazione professionale, mantenendo sempre una particolare attenzione alla laicità dell’istruzione, cosa non scontata in una città come Roma, dove la maggior parte delle scuole erano fino ad allora gestite da istituzioni cattoliche. Alla fine del suo mandato in città si conteranno circa 150 istituti scolastici comunali per l’infanzia. Un numero di una certa rilevanza, considerato che oggi, con una popolazione sei volte maggiore rispetto a quella dei primi del Novecento, le scuole materne pubbliche a Roma non arrivano a 300.

La vera rivoluzione che il nuovo sindaco avvia, è però quella della creazione di grandi aziende pubbliche municipali nel settore dei principali servizi di pubblica utilità. Se oggi a Roma bus e metropolitane sono gestite da Atac, se Acea fornisce a quasi tutti i cittadini romani luce, gas e acqua, questo è anche il frutto della riforma realizzata più di un secolo fa da Ernesto Nathan, che portò alla nascita di aziende comunali in vari settori strategici, fra cui quelli per la gestione delle tramvie e dell’illuminazione elettrica (in seguito sarà avviato anche un processo per rendere pubblica la gestione dell’acqua), tutti settori fino ad allora in mano esclusivamente ad aziende private.

La grande novità fu che queste riforme, per la prima volta nella storia cittadina, prima di essere definitivamente approvate, vennero poste al vaglio popolare: il 20 settembre 1909 a Roma si tenne infatti un referendum che sancì la vittoria della proposta del sindaco di rendere pubblici mezzi di trasporto e luce. Questa consultazione popolare sarà l’inizio di un processo di crescente coinvolgimento dei romani nelle scelte politiche. Verranno infatti effettuati altri referendum, indetti per decidere questioni specifiche anche a livello rionale, nasceranno poi numerose associazioni di quartiere, che avranno anche il ruolo politico di dialogare con l’amministrazione e di collaborare nella soluzione di problemi.

Il nuovo piano regolatore

Nathan è rimasto nella storia di Roma anche per l’approvazione del nuovo piano regolatore urbano. La città, a partire dalla proclamazione a capitale d’Italia, aveva vissuto una fase di tumultuosa crescita, spesso sregolata. Da Prati a Via Veneto, da Parioli al Flaminio, i nuovi quartieri che stavano sorgendo si espandevano spesso con intere zone realizzate in deroga alle normative vigenti in materia di sviluppo urbanistico. Il sindaco Nathan provò allora a mettere un freno a questo andazzo e a fornire delle linee guida precise che le nuove costruzioni avrebbero dovuto rispettare.

Il nuovo piano regolatore cittadino, se da una parte ratificava l’esistenza dei quartieri in costruzione o in fase di progettazione (sia quelli già da tempo autorizzati, sia quelli nati in modo quasi abusivo), dall’altra imponeva un rigido e armonioso alternarsi di varietà nelle tipologie edilizie (fabbricati, villini, aree di verde pubblico, ecc.), un’altezza massima per i fabbricati di 24 metri e la presenza di ampi giardini nei villini. Contemporaneamente Nathan aumentò la tassa municipale sulle aree fabbricabili, portandola dall’1% al 3%, e avvio la costituzione di un ampio demanio comunale, al fine di togliere il grosso delle potenziali aree edificabili dalle mani di pochi grandi proprietari.

Sono questi gli anni in cui Roma vede anche un grande fiorire di edilizia pubblica: celebrativa, industriale, di servizio e abitativa. Durante il mandato di Nathan verranno inaugurati il Vittoriano e il Palazzaccio, così come i Mercati Generali e la centrale elettrica Montemartini, inoltre verrà portata avanti la costruzione di case popolari nei nascenti quartieri di Testaccio e di San Lorenzo. Nel 1911, in occasione dei 50 anni dall’unità d’Italia, ha infine luogo a Roma una grande Esposizione Internazionale, che farà da volano per una serie di nuovi progetti e di nuove realizzazioni, fra le quali la Galleria Nazionale d’Arte Moderna a Valle Giulia.

Nun c’è trippa pe’ gatti

A metà fra la storia e la leggenda è la vicenda che vuole Nathan creatore di slogan vernacolari al momento di esaminare il bilancio comunale. Si narra che, fra le voci di spesa presenti nel bilancio di Roma, scopre un giorno anche la voce “frattaglie per gatti”. Sorpreso, chiede lumi. Gli viene allora spiegato che si tratta di fondi per il mantenimento di una colonia felina che serve a difendere da topi i documenti custoditi negli archivi capitolini. Nathan, corrucciato, prende in mano la penna, cancella quella voce e accompagna il suo gesto con una colorita espressione che da quel giorno sarebbe diventata proverbiale: “Nun c’è trippa pe’ gatti”. I felini del Campidoglio avrebbero dovuto da allora in poi sfamarsi solo con i roditori catturati, poiché, qualora non avessero trovato più topi, sarebbe anche venuto meno lo scopo della loro presenza.

Che un attempato signore nato a Londra e che arrivato in Italia conosceva a stento la nostra lingua, possa davvero essersi reso protagonista di un simile episodio e avere inventato un’espressione romanesca così colorita e di successo è forse poco probabile, ma quella leggenda è ormai diventata racconto e il racconto è diventata una verità accettata anche da molti libri di storia romana.

Quello che è certo è che, fra voci di bilancio cassate con un tratto di penna, aumento delle tasse sui terreni, regole rigide per i costruttori e i latifondisti romani, Ernesto Nathan di giorno in giorno cominciava a farsi molti nemici. Inoltre, l’alleanza fra forze progressiste e socialisti si stava sfaldando.

Anche per il sindaco la trippa comincia ad essere sempre di meno, tanto che alle elezioni comunali del 1914 egli viene sonoramente battuto da una vecchia conoscenza del fronte conservatore romano: il principe Prospero Colonna, già stato sindaco fino al 1904 e in quell’anno dimessosi per non essere riuscito a portare a Roma i giochi olimpici. Colonna riuscirà però, durante il suo secondo mandato (anni difficili a causa dello scoppio della Grande Guerra), a fare avviare i lavori per quella che forse è la più affascinante delle opere realizzate in città fra otto e novecento: il Quartiere Coppedè.

Ernesto Nathan, intanto, è partito volontario per il fronte. Rientrerà a Roma solo nel 1919, restando fuori dall’agone politico, ma tornando a ricoprire l’incarico di gran maestro del Grande Oriente d’Italia. Morirà nel 1921, a 76 anni. A farne l’elogio funebre, presso il cimitero del Verano, sarà il nuovo sindaco Luigi Rava, eletto pochi mesi prima e anch’egli massone. Rava sarà uno degli ultimi sindaci che potranno fregiarsi ufficialmente di questo titolo. Sta infatti per cominciare la cosiddetta “era fascista”, che cambierà per due decenni il ruolo e anche la dicitura formale con cui verrà conosciuto il primo cittadino della Capitale. Ma di questo parleremo nel prossimo capitolo, dedicato al ventennio e ai Governatori di Roma.

 

Storie di Campidoglio

GLI ARTICOLI DELLA SERIE:

01 – Tutti i sindaci del Re

02 – I sindaci umbertini

03 – Nathan, “er mejo sindaco”

04 – I governatori del Ventennio

05 – Il regno di Rebecchini

06 – I sindaci della Roma Olimpica

07 – Clelio Darida, l’ultimo DC

08 – 1976-1985: i sindaci rossi

09 – 1985-1993, gli anni del Pentapartito

10 – Il sindaco del Giubileo

11 – La Roma di Veltroni

12 – La destra in Campidoglio

13 – Marino: il sindaco interrotto

 

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