Scegli il sindaco col gratta e vinci

Stiamo entrando nell’ultimo trimestre di questo strano 2020 e, via via che passano i mesi, si avvicina sempre di più il momento in cui Roma sarà chiamata a scegliersi una nuova guida. Il mandato di Virginia Raggi scade infatti nella primavera del 2021 e si sono aperte, in tutti i partiti, le grandi manovre per candidarsi a primo cittadino della Capitale.

Mentre il Movimento 5 Stelle si divide fra chi vuole una riconferma dell’attuale sindaca, chi punta a un accordo con il centrosinistra e chi invece fuoriesce dal partito in polemica con la linea della maggioranza (è il caso, per esempio, di Monica Lozzi, presidente del settimo municipio, eletta col Movimento, ma ora passata nella nuova formazione politica creata da Gianluigi Paragone), il centrosinistra pare volersi affidare all’ormai consolidato, ma da qualcuno considerato già “stantio”,  metodo delle primarie, col quale far competere le sue diverse anime, per poi scegliere il proprio contendente alla più importante poltrona dell’Urbe.
A destra, intanto, forti di sondaggi che sembrerebbero prospettare una sicura vittoria, si traccheggia sul nome di eventuali candidati, dato che quella più forte e credibile, cioè Giorgia Meloni, sembra troppo lanciata su una prospettiva nazionale per voler tornare a competere nell’agone capitolino.

Insomma, a pochi mesi dal voto romano, nessuno dei principali schieramenti sembra avere ancora le idee chiare, o perlomeno un abbozzo di proposta su un nome e un programma condivisi che possano generare un forte consenso, non dico fra i cittadini di Roma, ma perlomeno all’interno della propria parte politica. In questo panorama un po’ sconfortante, ecco che le recenti esternazioni di un comico (che non ha mai smesso di dichiararsi tale, pur interessandosi da molto vicino alle questioni della politica italiana), potrebbero prospettarsi come una soluzione efficace per tutti e che toglierebbe le castagne dal fuoco ai diversi schieramenti: e se il prossimo sindaco di Roma, anziché sceglierlo col voto, decidessimo di sorteggiarlo?

Quella che a me viene in mente è una lotteria ad hoc, un gratta e sindaco, con biglietti in vendita in tutti i bar capitolini. Biglietti che, anziché offrire in vincita denaro contante, servirebbero ad assegnare incarichi politici, e relativi emolumenti. Se grattando uscirà fuori un jolly si vincerà un posto da consigliere municipale, con due si diventerà presidenti di municipio, con tre consiglieri capitolini, con quattro assessori, e con cinque si verrebbe nominati sindaco.
I proventi della vendita dei biglietti, poi, potrebbero anche aiutare a rimpolpare le esangui casse comunali, a differenza delle attuali elezioni, che comportano sempre dei costi pubblici, oltre alla chiusura delle scuole.

Non è dunque una buona idea, senza grosse controindicazioni, capace di risolvere contemporaneamente i problemi che attualmente si prospettano?
I dubbi delle segreterie di partito sui possibili candidati non avrebbero più ragione d’essere. La disaffezione dei cittadini per la politica, a quel punto, potrebbe essere quasi azzerata, grazie alla prospettiva di un’inattesa vincita, che riavvicinerebbe alle questioni della politica cittadina (o perlomeno ai relativi incarichi) moltissime persone.

Lo so, questa mia proposta sembra un’insensata stupidaggine, una boutade che ricalca, in versione capitolina, la provocazione fatta da Beppe Grillo a Bruxelles qualche giorno fa, quando, oltre a parlare di inutilità del parlamento, disse anche che ormai le elezioni hanno poco senso e che gli incarichi politici vanno assegnati per sorteggio.
In più, la mia sembra una proposta antidemocratica, che calpesta senza ritegno quel nobile processo di partecipazione attiva e consapevole dei cittadini alla politica, iniziato migliaia di anni fa nella gloriosa Atene di Pericle.
Peccato che proprio nella gloriosa Atene di Pericle, culla della democrazia, molti incarichi cittadini venissero assegnati non con le elezioni, bensì col sistema del sorteggio.

La lotteria dell’Agorà

Alla voce “democrazia ateniese” Wikipedia così scrive: “Coerentemente con il presupposto di fornire lo sviluppo della massima competenza generale possibile tra i cittadini, l’uso del sorteggio fu considerato come il mezzo più democratico di attribuzione delle cariche pubbliche: una elezione, infatti, avrebbe favorito gli aristocratici, i ricchi, le persone note o dotate di eloquenza; il sorteggio permetteva a chiunque di impegnarsi nell’esperienza democratica, ossia di governare ed essere governati,, oltre che di evitare fenomeni di brogli e di ridurre i pericoli insiti a fenomeni demagogici”.
Ovviamente va ricordato che ad Atene non tutti gli abitanti votavano: anzi, gli elettori erano una minoranza. Era una democrazia che però non vedeva la partecipazione di schiavi, donne, persone nate altrove e chi non avesse completato il servizio militare.

Ogni anno ad Atene 1.100 cittadini venivano scelti per ricoprire incarichi pubblici. Di questi 1.100, solo meno di un centinaio venivano selezionati col metodo dell’elezione e solo in caso di incarichi di natura militare o economica, che comportavano, per la loro natura, delle competenze tecniche specifiche e un’adeguata preparazione. Per tutti gli altri ruoli vigeva il sistema del sorteggio casuale. Chiunque poteva diventare giudice, oppure membro della Boulè (l’equivalente di un moderno parlamento o di un consiglio comunale), semplicemente perché il suo nome era stato estratto a sorte al posto di un altro.
Questo era il sistema con cui Atene è stata guidata per secoli, il sistema ammirato e imitato dalle molte altre città, osannato dai posteri, un sistema in cui era il caso, molto più della scelta, a guidare le più cruciali decisioni cittadine.

Il sorteggio nell’età dei Comuni

Se si pensa che, con la fine dello splendore di Ateneil metodo del sorteggio delle cariche politiche sia scomparso per sempre dalla faccia del mondo, dimenticato dalla storia, come i colori delle statue del Partenone, oggi bianche, ma un tempo coloratissime, sbaglia di grosso. Uno degli esempi più importanti si ebbe anzi proprio in Italia, durante quella che molti storici considerano l’età dell’oro della politica e dello sviluppo economico e culturale della penisola: l’epoca comunale.
Tra il tredicesimo e il quattordicesimo secolo il sistema del sorteggio dei più delicati incarichi politici tornò fortemente in auge in quasi tutte le città italiane e si diffuse, a partire dalla metà del Duecento, con enorme rapidità.

A differenza di quanto avveniva ad Atene, durante il periodo comunale si scelsero metodi di sorteggio un po’ più complessi e raffinati, che introducevano anche piccoli elementi di scelta. Si trattava quasi sempre di una procedura a più passaggi: un consiglio, espressamente incaricato, definiva una rosa ristretta di nomi, da cui si sarebbe estratto quello di colui che avrebbe poi ricoperto l’incarico. Oppure, nel caso inverso, l’estrazione individuava un gruppo di nomi, all’interno dei quali il consiglio votava il prescelto.
In epoca comunale si sentiva dunque l’esigenza di adottare una mescolanza di sistemi diversi, che garantissero, da una parte l’impossibilità di brogli e di accordi sottobanco nell’assegnazione delle cariche, dall’altra l’affidabilità politica e tecnica degli eletti.

I sistemi pratici di svolgimento dell’estrazione erano molto vari e a volte anche piuttosto complessi. Spesso, infatti, l’estrazione era svolta all’interno di un cerimoniale elaboratissimo, che aveva il fine non soltanto di assicurare la correttezza della procedura per via di regole rigide e rigorose, ma anche di comunicare ai presenti il senso di un rituale collettivo, segno dell’importanza e della dignità delle decisioni che venivano prese.

Le balote della Serenissima

Chi, pur non esperto di storia, ha avuto occasione di vedere il documentario Rai “Una notte a Venezia”, condotto da Alberto Angela, sa che uno di questi complessi sistemi che univano il caso e la scelta, era quello adottato a Venezia per l’elezione del Doge.
La procedura era piuttosto laboriosa, studiata in modo da rendere impossibile l’organizzare accordi mirati a corrompere i membri del Gran Consiglio della Serenissima, riunitisi appositamente per l’elezione del nuovo doge.

Il primo atto di quell’articolato sistema, prevedeva che il consigliere più giovane si recasse fuori dal palazzo ducale, per scegliere un bambino del popolo che avesse tra gli 8 e i 10 anni di età. Il bambino, bendato, doveva estrarre da un’urna alcune sfere (le cosiddette balote, da cui deriva il termine “ballottaggio” in uso ancora oggi) consegnandole una per volta a ciascun consigliere. Trenta di queste balote erano dorate e chi le riceveva poteva passare al secondo turno, in cui il bambino, sempre bendato, ne tirava a sorte nove. Questi ultimi nove avevano il compito di nominare 40 consiglieri. Tra i 40 così selezionati, il bambino ne tirava a sorte 12. I 12 rimasti si trovavano a dover eleggere 25 membri, da cui estrarre di nuovo 9 persone che eleggessero 45 consiglieri, da cui estrarne 11 che nominassero infine i 41 cui sarebbe spettata l’elezione (a questo punto a votazione e non più estratta a sorte) del nuovo doge.

Questo sistema un po’ bizantino, si dimostrò molto efficace, al punto tale da sopravvivere fino alla fine della storia della Serenissima, avvenuta alla fine del diciottesimo secolo, dunque ben oltre il periodo d’oro dell’Italia dei comuni e della “moda” della designazione per sorteggio delle cariche pubbliche. I dogi selezionati con questo sofisticato mix di caso e di scelta consapevole, non peccarono poi certo per capacità e per qualità, visto che la repubblica di Venezia non solo prosperò per circa mille anni, ma divenne anche, per un lungo periodo, il più ricco e dinamico fra gli stati d’Europa.

E se domani

Dunque, sorteggiare un sindaco – o un assessore, un presidente del consiglio, un ministro – non sarebbe, a differenza di come potrebbe apparire oggi a chi non conosce certi precedenti storici, la follia malata di un pericoloso visionario, ma il ripristino di un sistema già adottato ampiamente in passato, spesso con una certa efficacia.
Non so se questo sistema, riportato in auge adesso, nel contesto sociale e politico del ventunesimo secolo, potrebbe avere gli stessi effetti positivi. Però conoscere il passato è sempre un esercizio utile. Riflettere sui concetti di democrazia e di benessere pubblico, andando oltre gli schemi in cui questi termini sono stati concepiti nel Novecento, è qualcosa che può aiutare a ideare soluzioni nuove, magari diverse sia da quelle passate che da quelle presenti.

Non preoccupatevi: è certo che il prossimo anno non compreremo al bar i biglietti del “gratta e sindaco”. Le elezioni per il comune di Roma, salvo cataclismi, si svolgeranno regolarmente con i sistemi di voto che abbiamo adottato in questi ultimi decenni. Però avviare una riflessione diversa sui sistemi di scelta della nostra classe dirigente, è importante.

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