Accogliere a parole, o a Parioli

Chi vive nel Secondo o nel Terzo Municipio di Roma, nella zona nord della Capitale, sa bene quanto sia problematica la gestione di quell’area borderline, al confine fra le due amministrazioni: il greto dell’Aniene, diventato da tempo una discarica a cielo aperto, causa di frequenti roghi tossici, abitato stabilmente da rom e senzatetto.
Negli anni si sono moltiplicati gli interventi per riqualificare e bonificare la zona: alcuni più soft, altri più decisi, con reiterati sgomberi forzosi di chi aveva trovato lì il proprio rifugio. L’ultimo in ordine di tempo è avvenuto fra la fine di agosto e la metà di settembre di quest’anno, quando le baracche sono state abbattute e alcuni degli abitanti presi ufficialmente in carico dai servizi sociali del comune di Roma.

Vuoi vedere che gli abitanti del benestante Parioli reagiranno in modo analogo a un attivista di Casapound, davanti all’arrivo di nomadi o immigrati?

Durante quest’ultimo intervento c’è stato anche un importante elemento di novità rispetto al passato. Piccolo forse, ma simbolicamente di grande rilevanza: sette fra le persone sgomberate dall’area dell’Aniene sono state infatti ricollocate in uno stabile di proprietà comunale, nella zona del Secondo municipio, all’interno di uno dei quartieri più ricchi ed esclusivi della capitale, tanto che il suo nome è diventato in tutta Italia sinonimo di snob: Parioli. Parliamo di un numero oggettivamente molto esiguo di persone e di una sistemazione temporanea – si prevede una durata variabile fra i sei e i dodici mesi di permanenza – ma tanto è bastato per sollevare critiche e polemiche fra i “pariolini”.

L’opposizione di centrodestra – il municipio è amministrato dal centrosinistra – si è resa portavoce del disagio e ha presentato un’urgente richiesta di accesso agli atti, per verificare se tutto fosse avvenuto correttamente durante l’iter della vicenda, con l’intento di bloccare la procedura ed evitare l’insediamento a Parioli dei “rom”, se fossero risultate inadempienze.

Anche “Il Giornale” è corso a intervistare gli abitanti della zona.  Nel feudo chic di Parioli, anzi, radical chic, della sinistra Ztl (sebbene Parioli non faccia fisicamente parte della zona a traffico limitato il tessuto sociale ed economico della zona è molto simile a quello del centro storico, dove prende più voti il Pd), vuoi vedere che gli abitanti del quartiere reagiranno in modo analogo a un attivista di Casapound, davanti all’arrivo di nomadi o immigrati?

Forse i giornalisti della testata di centrodestra, nel realizzare il loro reportage, avevano bene in mente una divertente quanto amarissima commedia francese degli anni Novanta, diretta da Coline Serreau, La Crisi.  In quel bel film c’è una scena memorabile, in cui Michou, un senzatetto del quartiere popolare di Saint Denis, finisce nell’esclusiva zona parigina di Neuilly, nel salotto buono della villa di un ricco deputato di sinistra, esponente perfetto di quella che i francesi chiamano la “gauche caviar” (la “sinistra al caviale”). In quel salotto, il rozzo senzatetto, sostiene col benestante deputato un ancora attualissimo confronto, sul tema del razzismo.

La tesi sostenuta da Michou è che da sempre gli immigrati vengano portati nelle zone più popolari, creando così delle reazioni di rigetto da parte degli abitanti di quei quartieri, che finiscono poi per votare a destra in massa. Il tutto si riassume in una frase, semplice e tagliente, che Michou rivolge al deputato: “Finora chi si è stretto per fargli posto sono quelli di Saint Denis, mica quelli di Neuilly”. Frase che, tradotta per un romano, suonerebbe più o meno: Finora chi si è stretto per fargli posto sono quelli di Torre Maura, mica quelli di Parioli.

Non ho citato a caso il quartiere di Torre Maura. Ve lo ricordate, qualche tempo fa, quel duro ma civile confronto pubblico fra Simone, un quindicenne di quel quartiere, che si oppose a brutto muso ad alcuni esponenti di Casapound, accorsi nella zona per cavalcare il malcontento seguito all’assegnazione di alcune case di Torre Maura a famiglie rom? E nun me sta bene che no!, disse Simone, indicando il suo disappunto nei confronti di chi voleva negare alle famiglie nomadi quello che a suo avviso era un loro regolare diritto civile.

E nun me sta bene che no!, disse Simone, indicando il suo disappunto nei confronti di chi voleva negare alle famiglie nomadi quello che a suo avviso era un loro regolare diritto civile

Quella sua colorita espressione divenne famosa, rilanciata sui social migliaia di volte e, per qualche tempo, fu usata come slogan “di sinistra” in numerose campagne mediatiche. Eppure “nun me sta bene che no” è un’espressione romana ben più antica, che di sinistra ha ben poco e che potrebbe essere tranquillamente usata anche in senso contrario. E nun me sta bene che no che li mannate tutti qui ‘e gnente a Parioli, potrebbe infatti dire un Michou di Torre Maura, contrario all’insediamento di rom nel suo quartiere. E nun me sta bene che no che me li mannate a me, allora, io ch’ancora sto a pagà er mutuo pe’ casa a Parioli, che se me ce manni i rom nun me vale più gnente. Li sordi che me li dai tu?, potrebbe poi rispondergli un pariolino.

L’insediamento di sette persone (che poi a Parioli ecco che, improvvisamente, potrebbe alzare il velo di Maya e fare apparire dunque un’inquietante realtà: quella di una sinistra già radical chic, che rischia di trasformarsi in radical nimby (acronimo anglosassone che sta per “not in my back yard” più o meno traducibile in: non nel cortile di casa mia).
Una sinistra accogliente a parole, ma non a Parioli, non quando c’è da accogliere in casa propria. Questo piccolo episodio rischierebbe dunque, senza possibilità di equivoco, svelare l’ipocrisia di quei “comunisti col Rolex” asserragliati nei loro attici con vista.
In fondo è questa la tesi di Michou nel film “La crisi” e, a prima vista, è anche quella del Giornale nel suo breve reportage.

Dico a prima vista perché poi, a leggere quell’articolo, il pregiudizio viene in larga parte smentito. Il Giornale, correttamente, riporta diverse voci di pariolini preoccupati, alcuni anche molto preoccupati, ma anche quelle di residenti tranquilli e per nulla scossi dall’imminente arrivo dei rom.
Ne esce fuori un quadro senza bianchi e neri contrapposti, senza guerre di religione, senza imminenti rivolte popolari, sfumato, come, di fatto è la realtà più autentica di ogni quartiere, fatta di aspetti positivi e negativi spesso mescolati fra loro in modo inscindibile, senza buoni e cattivi sempre e solo da un’unica parte.

Invece ne esce fuori un quadro senza bianchi e neri contrapposti, senza guerre di religione, senza imminenti rivolte popolari

Di radical nimby, dunque, al momento pare esserci poca traccia. Ecco perciò che il piccolo episodio dei sette “rom pariolini”, in assenza di sollevazioni popolari, ha l’opportunità di diventare un importantissimo esperimento per avviare una politica nuova nei confronti del centro e della periferia capitolina.

Se finora le periferie erano state troppo spesso, per non dire sempre, penalizzate rispetto al centro, su varie questioni, se, oltre a una maggiore carenza di servizi essenziali, avevano dovuto subire anche il peso di ulteriori disagi (realizzazione di discariche e impianti di riciclo, insediamento di comunità straniere, ecc), almeno sul piano dell’accoglienza oggi potrebbe avviarsi un riequilibrio.

Quelle sette persone ospitate in uno stabile comunale potrebbero essere quindi i precursori e gli apripista per una radicale trasformazione delle politiche sociali della nostra città

Per ragioni logistiche è ben difficile che a Roma si possano costruire centri di smaltimento rifiuti al Colosseo o in piazza Navona. Impianti del genere sarà comunque necessario pensarli in zone periferiche. Ma piazza Navona e il Colosseo potrebbero ora compensare il disagio procurato agli abitanti di Malagrotta o di Rocca Cencia (aree da anni disagiate per la presenza di discariche o di centri di riciclo), accogliendo chi viene da fuori, in un sistema di compensazione dei “disagi” che potrebbe finire per azzerare le distanze siderali (economiche, culturali, sociali), oggi esistenti fra il centro e la periferia della città.
Quelle sette persone ospitate in uno stabile comunale potrebbero essere quindi i precursori e gli apripista per una radicale trasformazione delle politiche sociali della nostra città. Certo è ancora presto per capire se sarà davvero così e per valutare gli esiti di una eventuale trasformazione di questo tipo: ma, forse senza volere, un primo test è stato avviato.

[Le immagini sono rielaborazioni di foto di Parioli proposte da agenzie immobiliari]

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