Una Capitale che non c’è

Sarà permesso a chi scrive di superare i limiti del decoro nell’esprimere alcuni concetti rispetto a fatti di attualità che riguardano, in un modo o nell’altro, la Capitale d’Italia?
Spero di sì. E se anche così non fosse non ci si scomporrà per nulla, visti gli eventi storici accaduti negli ultimi 15 giorni.

Sì, perché molti commentatori, più attenti e solerti di chi scrive, hanno sottolineato la “storicità” di eventi quali il voto sulla piattaforma Rosseau degli iscritti al Movimento Cinque Stelle per il superamento dei due mandati nelle cariche istituzionali e della possibilità delle alleanze con i “partiti” tradizionali.
E ancora prima dell’evento la autocandidatura dell’uscente-assente sindaca di Roma, Virginia Raggi.
E ancora, l’attesa nel campo degli avversari politici di destra e sinistra su una candidatura che non ne vuole sapere di palesarsi.
Ora siamo alle mogli di, dopo il grande nome nazionale. Speriamo di non arrivare al figlio di.
Cercherò di essere lineare nell’esposizione di tante informazioni. Perché di notizie vere in realtà non c’è traccia. O forse sì, ma alla fine.

Partiamo dal Movimento Cinque Stelle

Il successo elettorale riscosso a Roma, e non solo, è figlio fondamentalmente di un tradimento delle promesse non mantenute da parte dei partiti tradizionali. E il merito che va riconosciuto al Movimento è comunque quello di aver avvicinato molti alla politica e non aver desertificato pratiche di politiche pubbliche altrimenti preda di ristrette élite.

Che poi sia mancata la capacità di fare una selezione della classe dirigente e di avere meno spocchia e più ascolto è una storia che vale anche per chi era sul campo prima di loro. Ma è una colpa. Come è stata una colpa per quelli di prima.
Segno che anche i grillini imparano presto i rudimenti della politica?
Sono usciti diversi sondaggi su come i cittadini romani giudicano Roma recentemente: tutti negativi. Ma al di là dei sondaggi, basta viverci a Roma, per vedere che le cose non funzionano: e non certo per colpa – o solo per colpa – di chi c’era prima. Sarebbe anche ora di finirla con questa storiella, anche se ho l’impressione che per 12 mesi avremo questo jingle pubblicitario. E allora, meglio essere brutali e diretti.

Luca Lanzalone, ex presidente di Acea, uno di quelli che ha scritto materialmente il non-statuto dei Cinque Stelle, da chi è stato nominato a quella poltrona? Dalla sindaca assente-uscente.
Lanzalone è detenuto nelle patrie galere. Fino a prova contraria, è innocente. Così come il presidente dell’Assemblea Capitolina, Marcello De Vito, candidato in pectore al Campidoglio prima di venire sconfitto nelle primarie online per la candidatura del 2016 proprio dalla sindaca uscente-assente.
La storiaccia del nuovo stadio della AS Roma (che è solo la punta di un iceberg su interessi cementifici sulla capitale) è un altro pezzo del disastro a Cinque Stelle: dall’ambiente alla congestione di un quadrante basta poco: milioni di metri cubi di cemento.
AMA e ATAC in condizioni pietose. E anche qui abbiamo la magistratura e la Guardia di Finanza in movimento da tempo. Ma non era colpa di “quelli di prima”?
Ma la cosa più grave, dal mio punto di vista, è che le cose non funzionano, i servizi pubblici sono insufficienti se non scadenti con, in diversi periodi di questi ultimi 4 anni, rischi di salute pubblica più volte denunciate.
Ma ovviamente la colpa è di quelli di prima. E fermiamoci qui.

Le opposizioni: ovvero, se ci siete battete un colpo

Destra, destra, destra, Lega e altre amenità varie. Se uno immagina la destra un corpo unico non ha capito nulla e può andare in spiaggia a prendere il sole e bere un mojito. A Roma, come ovunque, ci sono tante “destre”.
Dopo la vittoria a sorpresa di Gianni Alemanno e i danni combinati queste parti politiche hanno proseguito nell’opera di sostituzione antropologica avviata a inizio 2000 delle periferie romane passando dai territori al web, ai social network e alla community on line attive su temi “etici” (vaccini, mascherine, 5G…).
La protesta politica si trasforma elettoralmente in una proposta politica che poi si scontra con la realtà dell’amministrazione. Ma intanto prende voti in categorie ampie, diverse e variegate.
La narrazione sui migranti portatori di tutti i mali del mondo è quella più visibile, riconoscibile e coltivata. Ma lo slogan ordine e sicurezza passa anche nel campo della sinistra, ad esempio sulla lotta alla movida romana e alla criminalizzazione di un intero target: i giovani.
Si tratta della plastica rappresentazione dell’incapacità culturale prima che politica e tecnica di approcciare le questioni e di ghettizzare intere categorie sociologiche che non dicono più nulla.

Torniamo alle destre. Il problema di questo campo è, se vogliamo, di capire chi occupa la scena. Cercano un “candidato presentabile” perché dietro le quinte nessuno è all’altezza?
Il dato è che le destre hanno consenso fino a quando il campo avverso continuerà a fare accordi di piccola portata o usare il notaio per sancire la fine di una esperienza, com’è successo all’epoca di Ignazio Marino.

Sinistra, sinistre e la sinistra che non c’è

Parlo della vicenda del notaio (quando la maggioranza dei consiglieri vi si recarono per certificare le proprie dimissioni e far cadere così anche il sindaco) per ricordare che il peccato originale di un partito romano, il Pd, non si dimentica.  Andare da un notaio per sfiduciare il proprio sindaco è squallido. Sulle doti e sulle qualità del sindaco sfiduciato, non entro nel merito. Ma c’è il voto, per riconoscere o meno una leadership. Si chiama democrazia. Chi va dal notaio, sta vendendo o acquistando un bene. E per cominciare un percorso sarebbe il caso che chi firmò dal notaio (parlo dei consiglieri del Pd di allora) facesse due passi indietro senza candidarsi mai più a nulla di pubblico da qui ai prossimi vent’anni. Così si risolverebbero con un colpo solo anche le questioni “parentali”, amicali, di cordata o altro. (I nomi e cognomi dei solerti consiglieri di allora sono reperibili facilmente. Evito di riportare le loro generalità per un motivo di pudore verso quelli che stanno leggendo).

Altri che stanno pontificando su Roma sono andati in altri partiti ma hanno piena la responsabilità di errori che pagano i cittadini romani. C’è ben poco di nobile in questo: chi fa errori e non si assume la responsabilità (ché errori tutti ne facciamo, ma assumersi le responsabilità è altra cosa) non ha diritto di parola. Non per censura, ma per rispetto verso il pubblico.
Così come quelli che fanno due mestieri (consigliere in Campidoglio e parlamentare) e lo fanno pure male. Anche per loro, una sana clausura ventennale sarebbe salvifica per i cittadini romani. O si attendono strapuntini o posticini in penombra? Vedremo cosa accadrà.

È evidente a tutti che in questo campo sono in corso manovre – non le definisco grandi perché di tale c’è ben poco – per trovare una via arzigogolata a una situazione che è molto grave. Insomma, si traccheggia in attesa che arrivi qualcosa o qualcuno. Intanto, Roma brucia (in tutti i sensi).

Le novità politiche di Roma

In tutto questo sfacelo “partitico”, ché fino ad ora solo di questo abbiamo trattato (anche in modo superfluo qualcuno dirà), ci sono novità vere, forti, interessanti da tenere sotto osservazione. Faccio tre esempi, ma ce ne sono tantissimi altri che sfuggono alla narrazione generale.

La Casa internazionale delle donne. Sono tanti anni che esiste, quello che non è solo un luogo, uno spazio, ma è un’idea offerta alla città, con servizi, con passione con tanta competenza. C’è, esiste e fa tanto. Eppure, il Comune di Roma, guidato dalla sindaca uscente-assente, porta in dono una cartella esattoriale da oltre un milione di euro. E produce un’ipotesi di delibera sui Beni Pubblici tutta centrata sull’economia.
Le associazioni non sono a disposizione di nessuno e nessuno deve permettersi di avere un approccio ottocentesco, paternalistico o, peggio, di bieco interesse.
Detto questo, la Casa internazionale delle donne è un pezzo, questo sì, storico di Roma e come tale deve essere sostenuto, abilitato a lavorare nelle migliori condizioni possibili con criteri di verifica certi.

I ragazzi del Cinema America. Se potessi, nominerei subito Valerio Carocci assessore alla Cultura del Comune di Roma (almeno sapremmo cosa fare d’estate a Roma), per quello che gli attivisti dell’ex cinema di Trastevere stanno facendo e hanno fatto, anche in condizioni difficili sotto tutti i punti di vista a fare. E quando in una città come Roma che ha censite ben 98 famiglie criminali che si sono spartite il territorio (a cui si aggiunge una delinquenza politica locale che si riconosce nell’estrema destra) si arriva a dover dare protezione e scorta a persone come Carocci o la giornalista Federica Angeli, il minimo, ma veramente il minimo, è dire chiaramente da che parte si sta.

Tutti per Roma, Roma per tutti.  Questa è la novità politica civica nello scenario romano degli ultimi 4 anni. Il 27 ottobre 2018 gli attivisti di “Tutti per Roma” sono riusciti a portare in Campidoglio oltre 12.000 persone senza aiutini da parte di partiti o di forze esterne.  Una grande mobilitazione civica per una città partecipata. Ora, obiettivo è quello di far fare le primarie a Roma al centrosinistra. Una follia agostana, viste le ultime puntate.
Follia per follia: e se le primarie le organizzasse “Tutti per Roma” insieme a altri?

In ultimo: quattro anni fa, partecipai a una serie di convegni quasi carbonari dove si parlava di Roma e del suo futuro.  Appresi così che il Comune di Roma negli anni ha costruito un debito di circa 13 miliardi di Euro che è stato trasformato, legalmente, in una sorta di bad company. Tutto sarà stato fatto in modo legale, ma si tratta comunque di 13 miliardi di debito, e nessuno, nessuno, ne parla. Chiunque di noi avesse un debito rilevante che pesa sulla propria famiglia penserebbe seriamente a come rientrare da tale “buco”, e ogni azione sarebbe volta a diminuire l’esposizione.
I politici romani e le loro segreterie cosa  dicono, cosa hanno detto di questo buco in questi ultimi 4 anni? Questi sì, sono frutto di quelli di prima. Ma anche dagli ultimi arrivati nessuna parola.
Sarebbe comodo dire, con Totò: “E io pago…”. Ma non credo che posizioni demagogiche e populiste servano a Roma.
Va ripensata la città. Per farla diventare Capitale dobbiamo partire da qui: dalle sue persone, risorse, territori, passioni e intelligenze messe insieme, competenze e conoscenze, nuovo e antico. E anche da qualche chiaro, tondo e fragoroso no.

Elio Rosati è il segretario di Cittadinanzattiva Lazio

 

 

 

 

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