L’indagine scatologica: cap. 10

Decima puntata del romanzo giallo d’appendice “Mario Marco e l’indagine scatologica”. Ovviamente, questa è un’opera di fantasia. Ogni riferimento a fatti e persone reali è puramente casuale.

 

20 NOVEMBRE

 

– Posso parlarle? – Mario Marco aveva il fiatone per la corsa, e la frase gli uscì come un sibilo. La ragazza, che se ne stava appoggiata a una moto fumando una sigaretta, si voltò, e per un attimo sembrò non riconoscerlo.

– Che?

– Ho chiesto se posso parlarle. L’ho vista da lontano e le sono corso appresso. Ho il fiatone.

Milva non rispose.

– Perché non mi ha detto la sua vera identità, l’altro giorno? Perché mi ha preso in giro? Lo sa che è un reato?

Il commissario la osservò meglio. Aveva due occhiaie profonde, il viso segnato. Quando l’aveva incontrata la prima volta non se n’era accorto. oppure lei le aveva coperte con quel trucco pesante.

Dal negozio di fronte, intanto, era uscito un uomo vestito di nero, mezzo pelato, con gli occhiali scuri.

Amo’, c’hai problemi? – chiese il tizio alla ragazza.

– No, tranquillo. Fai un giro, che io devo parlare col signore qui, che è una guardia – rispose Milva. Il tizio si allontanò, guardandosi in cagnesco con Mario Marco.

– Non mi ha risposto – disse il vicecommissario.

– E che le devo rispondere? Guardi che lei ha sbagliato persona.

– Lei non è Milva Merola?

– Sì.

– Appunto. Io volevo, io voglio sapere perché l’altro giorno lei si è spacciata per sua sorella Mina.

– Mi sa che ha preso una cantonata. Io non l’ho mai vista, a lei – La ragazza spense la sigaretta con il piede, facendo ruotare il tacco dello stivaletto.

– Se non mi conosce, come sa che sono un poliziotto, scusi?

Milva ora lo stava guardando dritto in faccia. – Perché io le riconosco a prima vista, le guardie.

– Lo sa che adesso la porto al commissariato? – disse Mario Marco, che cominciava a divertirsi.

– Perché? Che ho fatto?

– Non lo so. Magari non ha fatto niente. Oggi. Magari la interrogo. Magari controlliamo e salta fuori che ha fatto qualcosa ieri. Magari ha fatto qualcosa anche il suo amico. È il suo fidanzato, per caso?

Milva scosse il capo, leggermente in panico. – No, è un amico, lo lasci stare. Lui non c’entra niente.

-Sicura? Sicura che non ha niente da nascondere il suo amico? Che lavoro fa?

– È disoccupato.

– E se è disoccupato come fa ad avere una motocicletta così? Io lavoro, ma non so se me la potrei permettere, una moto così. Che fa il suo amico? Dove li trova i soldi?

– È ricco di famiglia. Va bene? Che cazzo vuole?

– Ho cambiato idea. Lei, la lascio andare, mentre invece porto il suo amico al commissariato. Mi sa che quella moto è rubata.

Il commissario non vide arrivare il calcio, sentì solo i coglioni che gli scoppiavano, e il dolore salire su per l’addome. Si piegò in due. “Sbatti i tacchi, sbatti i tacchi”, gli avevano insegnato quando giocava a pallone.

Udì il rombo della moto, ma non alzò la testa per vedere in che direzione andavano. Chissà se la moto era rubata davvero. Rise.

 

– Senta, Paolini, non è che per caso che abbiamo qualcosa su una certa Milva Merola?

Il sovrintendente alzò la testa dallo schermo e guardò il commissario con una faccia da ‘cca nisciuno è fesso. – Merola? Quella Merola?

– Sì, sì, quella Merola – rispose Mario Marco, sentendosi già arrossire.

Paolini scosse la testa – È pulita, per noi…

– Che vuol dire, per noi?

– Be’, la Ps non l’ha mai fermata, però i Cc l’hanno quasi arrestata, una volta… – Paolini aveva ricominciato a battere sulla tastiera del computer, con la sua andatura un po’ incerta, a due dita.

– Che vuol dire, quasi arrestata?

– Mah, così, è una storia che gira, che ho sentito. Non le posso giurare che è vera, però….

– Però?

– Pare che l’anno scorso un maresciallo dei carabinieri l’aveva arrestata per un furto con scasso, ma poi il padre ha coperto tutto e la ragazza l’ha fatta franca.

 

21 NOVEMBRE

 

Marchese Anzio. Ma sì, il marito della donna delle enciclopedie. Quello alto. Il maresciallo manesco. Certo, era una cosa un po’ da ricattatori, chiedere informazioni proprio a lui. Sembrava fatto apposta, sembrava uno scambio per il silenzio su quell’altra roba lì, sulle percosse alla moglie.

Alla fine, decise che era inutile farsi problemi di coscienza. Telefonò al tizio, in caserma.

– Buongiorno, maresciallo. Sono il vicecommissario Mario Marco. Si ricorda di me? Penso di sì. Scusi se la disturbo, mi occorrebbe una cortesia. Sto seguendo una cosa…

– Sì.

– Ecco, la cosa riguarda una persona incensurata, Merola Milva. Mi pare che lei sappia qualcosa in merito. Non è che possiamo vederci oggi, magari a un bar, o dove vuole lei…

 

I due uomini si erano ritrovati sul lungomare di Isola Sacra, vicino al vecchio Faro. Tirava un vento freddo ed erano gli unici clienti seduti ai tavolini fuori da un bar. Marchese era rimasto in silenzio davanti a lui, a braccia conserte. Come un piantone.

Il commissario cominciò a leggere il documento, tre pagine battute a macchine e segnate dalla firma svolazzante di Marchese. La suddetta, cioè Mina, era stata colta in flagranza di reato l’anno precedente, il 23 luglio, alle ore 14,25 circa, intenta ad arraffare collanine e anelli dopo aver sfondato con un sampietrino la vetrina di una bigiotteria sita in via Rutilio Namaziano.

Per caso, proprio in quel momento, perché altrimenti la strada sarebbe stata deserta, si trovava a passare di lì il maresciallo Marchese Anzio, alla guida della vettura Fiat Mirafiori 131 di sua proprietà. Logico dunque che l’ufficiale di Pg intendesse porre fine al reato posto in essere dalla suddetta, scendendo dalla vettura. Solo che la suddetta, invece di desistere dall’atto criminoso, aveva raccolto da terra il sampietrino, tenendo nell’altra mano il corpo del reato, e aveva cominciato inveire contro il maresciallo. Il non si era lasciato intimidire dalla reazione della suddetta e anzi l’aveva affrontata a mani nude, riuscendo a bloccarla, Dio solo sa come. Infine, aveva condotto – o, meglio, aveva trascinato – la ragazza con sé fino alla più vicina cabina telefonica, da dove aveva chiesto l’intervento dei colleghi. Fine. Almeno per quel che riguardava il verbale.

Il seguito della storia, però, raccontata dal maresciallo medesimo, era più interessante. Non appena la ragazza aveva messo piede nella caserma dei Cc, si era fatto vivo un ingegnere di cui il militare non ricordava bene il nome – Bordone, immaginò Mario Marco – amico stretto del geometra Merola, accompagnato dall’avvocato Barra. I due avevano parlato con il capitano una mezz’oretta, et voilà. La ragazza, chiaramente disturbata, o meglio vittima di un episodio psicotico, comunque problemata, era stata affidata ai due ed era uscita in tutta fretta dalla caserma, ci mancava solo che le facessero l’alzabandiera, eccheccazzo, si era lamentato il maresciallo.

Manco un’ora più tardi, un paio di operai si erano presentati davanti alla bigiotteria per sostituire il vetro, accompagnati dal solertissimo avvocato Barra, incaricato di portare a buon fine un’amichevole transazione con la parte offesa.

Il maresciallo, dopo aver conferito con il superiore, si era ritirato in buon ordine, avendo però cura di conservare il verbale che tanto rapidamente aveva steso.

– Ma lei, che si opinione si è fatto di questa storia? – domandò Mario Marco all’improvviso, alzando gli occhi dal verbale.

– Quella lì è una drogata, né più ne meno. Solo che è figlia di uno con i soldi. Se fosse stato per me, avrebbe smesso da un pezzo. Con le buone, o con le cattive.

Il commissario scosse la testa, ma non disse nulla.

– Vuole sapere qualche altra cosa? – gli chiese il maresciallo.

– No, grazie. È tutto.

– Allora siamo pari – concluse il maresciallo, uscendo dalla stanza.

– Mi saluti sua moglie! – gli gridò dietro Mario Marco.

 

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