Statuario, un allarme studiato a tavolino

Un quartiere che ha spalle una lunga storia di solidarietà può diventare improvvisamente razzista? Forse no, anche se è quello che piace raccontare alla stampa, troppo spesso pronta a dare etichette, senza provare ad approfondire le notizie.
La storia è questa. La Regione Lazio, nell’ambito delle iniziative per contenere l’epidemia da coronavirus, ha stipulato una convenzione con Federalberghi per utilizzare le strutture disponibili come centri per la residenza di persone in isolamento, che per varie ragioni non possono stare in casa, e per pazienti in via di guarigione. Lo scopo è evidente: da un lato evitare il contagio dei familiari di una persona che ha contratto il virus, dall’altro lasciare liberi i posti negli ospedali, per permettere di assistere chi ha sintomi più gravi. Tra l’altro, il costo di un posto letto in ospedale è quasi doppio.
Negli alberghi, i malati devono stare obbligatoriamente nella loro stanza, c’è un presidio medico continuo. Sono completamente isolati. Alla Regione rispondono positivamente una serie di strutture. Complessivamente si creano in questa maniera circa 1.200 posti. Le strutture vengono ispezionate dai tecnici dell’agenzia regionale di protezione civile e messe in sicurezza. Ovviamente, in maniera da poter limitare l’impiego del personale, la Regione procede riempiendo gli alberghi uno per volta.

Negli alberghi trasformati in centri Covid19, persone in isolamento e pazienti in via di guarigione devono stare obbligatoriamente nella loro stanza, c’è un presidio medico continuo. Sono completamente isolati

Nel giorno di Pasqua vengono trasferiti i primi pazienti all’Hotel Capannelle, una grande struttura di 140 stanze, nel quartiere Statuario, alla periferia sud-est di Roma. Apparentemente nessun problema. Se non fosse che le persone in questione, in tutto sette, secondo la Asl negative al primo tampone, ma che hanno avuto contatti con malati, sono migranti. Nel quartiere scoppia una specie di sommossa, prima via Facebook, poi un gruppetto di cittadini, fra cui gli esponenti del comitato di quartiere, rompe addirittura le regole della quarantena per andare a verificare di persona. 

L’allarme che viene lanciato, con la regia evidente dei partiti dell’estrema destra locale, presenti in loco con il loro stato maggiore, è che si voglia fare dell’hotel un centro di accoglienza per rifugiati, vista anche la situazione di degrado di palazzo Selam, una struttura che si trova a pochi chilometri di distanza, dove sono stati accertati 10 positivi al coronavirus.

Per la cronaca, ovviamente non è possibile che l’albergo da centro Covid19 diventi un centro per l’accoglienza dei migranti, per una ragione molto semplice che consiglieri regionali e parlamentari avrebbero il dovere di conoscere: i centri Covid sono strutture sanitarie, la retta per gli ospiti è pagata dal Fondo sanitario nazionale, equiparata come costi a un posto in una Rsa. Una volta finita l’emergenza, la struttura tornerà nelle disponibilità della proprietà. Anche se volesse la Regione non potrebbe trasformarla in alcunché non avendo competenze – né i relativi fondi – sulla gestione dei rifugiati.
E, invece, fioccano comunicati stampa di parlamentari, consiglieri comunale e regionali, compaiono scritte offensive sulla recinzione dell’hotel (poi cancellate dalla proprietà), il comitato di quartiere, con un comunicato del suo presidente, invita i cittadini alla massima attenzione e a fotografare le persone che entrano o escono dall’albergo.
Si scatena, insomma, un clima da caccia all’immigrato, con presunti avvistamenti di persone in isolamento che, secondo i solerti cittadini, se ne andrebbero in giro per il quartiere. 

L’allarme che viene lanciato, con la regia evidente dei partiti dell’estrema destra locale, è che si voglia fare dell’hotel un centro di accoglienza per rifugiati

“Erano vestiti come quelli entrati nell’albergo, li ho visti io”. Poco importa che ci sia un presidio dell’esercito a controllare il tutto. Girano foto, tre ragazzi arrivati per portare sigarette a qualche persona in isolamento vengono addirittura seguiti passo passo e fotografati per tutto il pomeriggio.
Insomma, la rivolta su Facebook, divampa e arriva all’attenzione di testate locali e nazionali che, come spesso succede, danno voce a chi fa la voce grossa, senza preoccuparsi di capire cosa succede davvero. Copia e incolla dei comunicati e l’articolo è pronto. Poco importa che il tutto sia scatenato da una ventina di persone.

Il silenzio dei partiti del centro sinistra a livello municipale e comunale, che dura per giorni, non aiuta, a dire il vero, a meglio comprendere la realtà. Solo  le forze democratiche del quartiere provano a fare chiarezza e a smascherare la propaganda della destra. Ma ci vogliono almeno tre giorni per avere qualche comunicato da parte dei partiti del centro sinistra, tutti fatti da esponenti che non hanno alcun contatto con quella zona. Sarà forse per paura di perdere voti?

A rompere quello che sembra un assedio ci prova un gruppo di cittadini, stanchi di vedere il nome del proprio quartiere associato a episodi di razzismo. Si organizzano con messaggi ad amici e conoscenti e scrivono una lettera alla presidente del Municipio (che riconosce ufficialmente il comitato di quartiere) e agli organi di informazione. Tranne le testate locali, ovviamente, la lettera viene ignorata, non fa notizia. Eppure ha in calce 127 firme, raccolte senza pubblicità né, ovviamente, banchetti pubblici.

A rompere quello che sembra un assedio ci prova un gruppo di cittadini, stanchi di vedere il nome del proprio quartiere associato a episodi di razzismo

Da ricordare che lo stesso comitato di quartiere, nei mesi precedenti, si era strenuamente battuto per impedire all’Associazione nazionale partigiani (Anpi) di svolgere una iniziativa all’interno del centro civico locale. Come dire, quando si sbaglia una volta può anche essere un caso, ma quando succede di continuo viene il sospetto che ci sia una precisa regia della destra romana dietro la gestione di un organismo che avrebbe tutt’altri compiti, di certo non quello di incitare i cittadini alla sorveglianza non si sa bene di cosa.

Di seguito il testo della lettera, firmata da un gruppo di 127 cittadini dello Statuario:

Alla presidente del VII Municipio di Roma
Monica Lozzi

A scriverle sono alcuni cittadini residenti nel quartiere “Statuario” in merito ai fatti accaduti il giorno 12 aprile 2020 a seguito del trasferimento di alcune persone presso l’Hotel Capannelle allo scopo di effettuare la quarantena utile a scongiurare il contagio da Covid-19.
In quell’occasione, alcuni nostri concittadini – tra cui anche componenti del Comitato di Quartiere – si sono riuniti per protesta fuori dall’Hotel sopra citato. Senza attendere alcuna notizia ufficiale, gli stessi hanno creato i presupposti per una confusione che di certo non aiuta a trascorrere con la serenità necessaria questo duro momento per la cittadinanza tutta: video, foto, esternazioni sui social e diffusione di generiche notizie, che poi si sono rivelate prive di fondamento, hanno dato del nostro quartiere un’immagine sbagliata. Detta immagine, è stata oggetto di articoli di giornale comparsi anche – tra gli altri – su Roma Today e Il Messaggero. Il risultato di questo clima ha poi determinato da parte di sconosciuti, l’apposizione di una scritta sul muro di cinta dell’Hotel. La stessa recitava: “Statuario non è un lazzaretto”.
Queste poche righe, rivolte a Lei, vogliono essere la voce della moltitudine che non ha avuto la possibilità di essere ascoltata né da Lei né dalla stampa. La voce di chi comprende bene come zone di quarantena, in accordo con le istituzioni sanitarie, la Regione e con il Comune di Roma, siano determinanti per evitare il contagio e preservare la vita di tutti noi. Risultare agli occhi di un’intera città come un quartiere respingente e non solidale per il comportamento di pochi ha danneggiato la serenità e il comportamento civile di una composta maggioranza che a Statuario abita e lavora.
Con la presente dunque intendiamo chiarire che quanto riportato da social, pagine Fb, articoli di giornale, non rappresenta il nostro pensiero, né la “psicosi” riguardante le notizie circolate (persone positive al Covid-19 e provenienti da Selam Palace)
Riteniamo non corretto assumerci la responsabilità di gesti ed affermazioni che non ci appartengono, né praticamente né filosoficamente. Il nostro punto di vista è, infatti, molto diverso: siamo lieti di aiutare la città di Roma a contenere il contagio e siamo orgogliosi di tutte quelle Istituzioni – dalla Asl alle Forze di Polizia – che ci stanno aiutando a superare questo drammatico momento.
Siamo profondamente scossi da ciò che è accaduto, coscienti che anche noi potremmo avere bisogno di essere accolti  in strutture attrezzate per una quarantena e non vorremmo mai trovarci ad affrontare un clima così ostile.
La presente lettera ha trovato accoglimento anche da tanti cittadini dei quartieri limitrofi.
Cordiali saluti

 

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