Le città fantasma

Da diversi giorni, su tutti i mezzi d’informazione locali e nazionali, vediamo svolgersi dibattiti su quella che giornalisticamente viene definita la “fase due”, ascoltiamo cioè il susseguirsi di notizie e di proposte su come Roma e l’Italia potranno finalmente tornare, poco a poco, alla normalità, dopo il periodo di totale chiusura dovuto al diffondersi del Coronavirus.

I pareri in merito sono discordanti: c’è chi auspica tempi brevissimi per le riaperture, chi consiglia maggiore prudenza. Tutti sembrano però concordare su un dato di fondo: se siamo in difficoltà e non sappiamo bene cosa sia giusto fare, è anche perché quella generata dal Covid-19 è una situazione assolutamente “senza precedenti”.

In realtà le cose non stanno proprio così: di precedenti, infatti, per tutto ciò che sta accadendo, ce ne sono diversi. Anzi, a dirla tutta, la storia dell’umanità è piena di vicende come questa: pestilenze, pandemie, catastrofi naturali, che hanno stravolto la vita delle persone e di intere comunità. A ricordarcelo sono anche le tantissime “città fantasma” di cui il nostro territorio è ricco. Non parlo di luoghi leggendari e fantastici, come ad esempio la mitologica Atlantide, ma di borghi e cittadine reali, un tempo popolose e fiorenti, abbandonate all’improvviso, i cui ruderi sono rimasti a testimonianza di misteriose e antiche vicende.

Sono tutti luoghi, tanto affascinanti quanto inquietanti, di cui a volte si è perduta persino la memoria; località che, purtroppo, non hanno potuto vivere nessuna “fase due”, nessun “ritorno alla normalità”; comunità in cui il trauma di un evento imprevisto ha interrotto e messo fine alla storia; centri urbani presenti anche a pochi chilometri da Roma, il cui abbandono è molto spesso legato a una parola oggi tornata, sinistramente, di grande attualità: “epidemia”.

Galeria: foto da lazionascosto.it

Il mistero di Galeria

A pochi chilometri dalla via Braccianese, non distante da Osteria Nuova, sorgono le rovine della città di Galeria (oggi conosciuta anche come “Galeria Antica”), importante avamposto tra Veio e Cerveteri durante l’epoca etrusca. Sviluppatasi soprattutto nel Medioevo e nel periodo rinascimentale, sotto il dominio della famiglia Orsini, la storia di Galeria si interruppe bruscamente verso la fine del XVIII secolo e l’inizio del XIX, quando gli abitanti del luogo iniziarono a morire in modo alquanto misterioso.

Quello che risulta più strano, non è tanto che nessuno riuscisse a spiegarsi il perché di quelle morti (le conoscenze mediche ed epidemiologiche di fine settecento erano ancora piuttosto arretrate), né riuscisse ad arrestare la moria, quanto il fatto che nel 1809 Galeria venne precipitosamente abbandonata da tutti i suoi abitanti, che lasciarono lì non solo case, mobili, attrezzature, suppellettili, ma anche montagne di cadaveri, quasi tutti stipati su carri e che sarebbero stati ritrovati solo cinquant’anni dopo.

Cosa provocò una fuga tanto precipitosa non è dato sapere. Le ricerche più recenti attribuiscono quella improvvisa moria a un’epidemia di malaria, una malattia che però solitamente non provoca stragi di rapidità tale da giustificare un abbandono tanto improvviso. I pochi abitanti sopravvissuti si trasferirono comunque non molto distante, a fondare il primo nucleo dell’attuale Santa Maria di Galeria.

Oggi le rovine di Galeria sono ancora visibili sullo sperone di tufo che sovrasta il fiume Arrone. Qui sorgono numerosi edifici, completamente invasi dalla vegetazione a formare un suggestivo ecosistema, oltre ai resti di un castello medievale e al campanile settecentesco della Chiesa di San Nicola.

La suggestione da “racconto gotico” di quel luogo è tale che, proprio da quelle parti, sono state girate alcune scene del film horror “Suspiria” di Dario Argento e di altri film, stando una scheda di Wikipedia. Ancora oggi non è poi raro ritrovare, tra le rovine e i sentieri del borgo, le tracce di riti segreti che gruppi di sconosciuti si trovano a svolgere in queste zone, così come avviene anche altrove tra i resti degli antichi centri abbandonati.

Bisenzio: foto dal blog Camminare nella storia

La malaria del Lago di Bolsena

Lungo le sponde del lago di Bolsena, nel viterbese, sorgono invece i resti di tre cittadine fantasma, abbandonate sempre all’inizio dell’Ottocento e sempre a causa della malaria. Bisenzio, San Lorenzo alle Grotte, Borghetto, nomi che ai più dicono ben poco, sono oggi un insieme di ruderi, ma durante tutto il Medioevo e fino a buona parte del Settecento, grazie alla vicinanza con importanti vie di comunicazione (fra cui la nota via Francigena), questi centri avevano assunto grande importanza, anche quale punto di controllo del territorio, come testimoniato dai resti di diversi castelli.

La loro economia si basava soprattutto sulla presenza di mulini, impiegati per la macinatura del grano e la produzione dell’olio. Ma, verso la fine del Settecento, l’innalzamento della acque del lago provocò l’impaludamento di quelle aree e il diffondersi della malaria. Le autorità decisero allora di costruire nuovi centri abitati in posizione più elevata (come, ad esempio, l’attuale paese di San Lorenzo Nuovo), oltre a spostare la popolazione in zone più salubri, quali le non distanti cittadine di Capodimonte o di Grotte di Castro.

Così, già all’inizio dell’Ottocento, di quelle antiche città, abitate fin dall’età del bronzo, non restavano altro che le rovine, ancora oggi visibili. L’ultimo abitante lasciò Bisenzio nel 1816, a seguito di un editto papale che proibì a chiunque di dimorare in quelle zone, mentre già diversi anni prima si erano spopolati sia Borghetto che San Lorenzo alle Grotte.

Negli ultimi tempi, in quelle località, si era però cominciata a percepire una lenta rinascita, grazie al restauro di alcune antiche abitazioni trasformate in strutture turistiche. Forse il destino, manifestatosi sotto forma dell’epidemia da coronavirus che sta paralizzando un po’ ovunque viaggi e soggiorni, potrebbe però prendersi nuovamente gioco di quei luoghi, interrompendo quel processo.

Tolfaccia: foto di Latium Volcano diffusa su Twitter

La corsa all’oro di Tolfaccia

Diversa è la vicenda di un’altra città fantasma, Tolfaccia o Tulfa Nova, così chiamata per distinguerla dalla vecchia Tolfa, ovvero la cittadina che, sebbene più antica, è tuttora esistente a nord di Roma. Questo racconto ha quasi i contorni della leggenda. È infatti una storia che ci narra qualcosa di simile a ciò che accadde durante la favolosa corsa all’oro americana, quella raccontata da tanti libri e film, anche se a Tolfaccia tutto accadde non alla fine dell’Ottocento, come in America, bensì tra il XIV e il XV secolo.

È quella l’epoca in cui, sui monti della Tolfa, venne scoperta la presenza di un prezioso minerale, l’allume, allora molto usato per la concia delle pelli, per la tintura dei tessuti e per le sue proprietà emostatiche. Nell’area furono anche trovate alcune tracce di vene d’oro e d’argento. Tanto bastò a scatenare una vera febbre nei cercatori, abbagliati dal miraggio della ricchezza. Ben presto, però, cominciò anche a manifestarsi un’aspra contesa fra i signori del luogo, per il controllo dei giacimenti.

Tulfa Nova ebbe così, soprattutto agli inizi del Quattrocento, un sorprendente boom demografico ed economico. Ma la brama era tale che la situazione degenerò in fretta, dando vita a lotte violentissime. Fu per questo che Papa Paolo II (anche se alcuni storici indicano come autore di quella decisione il suo successore Sisto IV), sul finire del secolo, decise di risolvere radicalmente la questione, facendo radere al suolo Tolfaccia e disperdendone gli abitanti.
La città venne completamente distrutta. Oggi non ne rimangono che i ruderi della chiesa e del castello, oltre a quelli delle mura, ricoperti da un folto strato di vegetazione.

Monterano: foto di Valeria Rocca diffusa su Flickr.com con licenza creative commons

Il saccheggio di Monterano

La “ghost town” più famosa del Lazio è però probabilmente Monterano. Da “Guardie e ladri” a “Ben Hur”, da “La visione del Sabba” al “Marchese del Grillo”, la bellezza di questo luogo è tale da averne fatto il set ideale per numerosissimi film.

Ubicata a nord ovest di Roma, non distante da Manziana e da Oriolo Romano, Monterano è una suggestiva città abbandonata, di cui sono ancora visibili i resti delle mura e di un imponente castello, appartenuto alla famiglia degli Orsini prima e degli Altieri poi. Questi ultimi, nel 1679, commissionarono nientemeno che a Gian Lorenzo Bernini i lavori per la trasformazione dell’antica fortezza in un palazzo principesco, corredandolo poi con una scenografica fontana di gusto barocco, ancora visibile.

L’importanza di Monterano, fino a tutto il Settecento, era legata soprattutto allo sfruttamento delle miniere di zolfo intorno all’abitato. Il cuore della produzione era presso la solfatara a sud della collina su cui sorge il paese.

Di eccezionale impatto emotivo sono i resti della Chiesa di San Bonaventura: qui, al centro della navata maggiore, dal tetto crollato, fra i detriti ricoperti di muschio, un fico centenario inghiotte lentamente quel che resta del pavimento di marmo, generando uno straordinario effetto visivo.

Le vicende di Monterano dovevano però intrecciarsi con quelle d’Europa, con le epopee raccontate dai grandi libri di storia, interrompendosi bruscamente durante la calata in Italia delle truppe napoleoniche. Nel febbraio del 1798, infatti, i francesi entrarono a Roma, mettendo provvisoriamente fine al potere temporale del Papa e instaurando la Repubblica Romana, di cui anche Monterano faceva parte.

Fu in quel momento che la lite tra gli abitanti di Monterano e quelli di Tolfa, a causa di un carico di grano, fu usata a pretesto dalle truppe francesi per attaccare e saccheggiare il paese. Gli abitanti sopravvissuti furono spinti ad abbandonare la città senza farvi mai più ritorno, rifugiandosi nei centri vicini, in particolare nell’adiacente sito di Canale, dove si sviluppò l’attuale abitato di Canale Monterano. La vita di quel luogo finì così bruscamente.

Celleno: foto di Riccardo Cuppini, diffusa su Flickr.com con licenza creative commons

Celleno, da borgo fantasma
a zona rossa

Concludiamo il nostro immaginario tour fra le “città morte” laziali, tornando nei pressi del lago di Bolsena, anche se a diversi chilometri dalle sue sponde, laddove si trova Celleno, un paese balzato di recente alle cronache e la cui vicenda ha del paradossale.

Nata in epoca etrusca, la città si sviluppò a partire dall’XI secolo, attorno a quello che oggi è noto come il “Castello degli Orsini”, così chiamato dal nome della famiglia che a lungo regnò in quei luoghi. Fu un importante centro di difesa, cruciale per il controllo del territorio.

Già a partire dagli anni Trenta del Novecento, l’originario insediamento medievale, un po’ per motivi sociali ed economici dovuti alle grandi trasformazioni del XX secolo, ma soprattutto per l’instabilità dei pendii e la natura franosa dei terreni, fu progressivamente abbandonato, subendo le stesse sorti di numerosi altri centri della Tuscia, come ad esempio Civita di Bagnoregio o Calcata.

Il 18 marzo del 1951 il consiglio comunale decretò il definitivo trasferimento della popolazione da Celleno vecchio a un nuovo insediamento, ubicato nella borgata Luigi Razza, così chiamata dal nome dell’ingegnere che aveva qui costruito nuove case popolari per gli abitanti del vecchio centro pericolante.

All’inizio degli anni Duemila, però, vuoi per alcuni lavori di restauro operati nell’area, vuoi per la presenza di alcune botteghe che avevano cominciato a ripopolare il borgo abbandonato, la “città fantasma” di Celleno sembrava essere destinata a riprendere vita (proprio come accaduto anche alle prima citate Calcata e Civita di Bagnoregio) e ad attrarre nuovi turisti e nuovi abitanti. La rinascita di Celleno pareva ormai alle porte.

Invece, all’inizio di aprile 2020, ecco il nuovo shock: in una casa di riposo ubicata nei pressi di Celleno vengono trovati positivi al coronavirus tutti gli ospiti della struttura. E così, proprio Celleno diventa improvvisamente la quarta zona rossa del Lazio, dopo Fondi, Nerola e Contigliano (queste tre ultime località non sono più in quarantena dal 14 aprile). Il Presidente della Regione, Nicola Zingaretti, firma subito l’ordinanza che dispone divieto assoluto di allontanamento dal comune per tutte le persone presenti e il divieto di accesso per chi è fuori.

Tempi duri si prospettano di nuovo per il piccolo centro del viterbese, la cui dicitura “borgo fantasma”, che appare su diversi cartelli posti all’ingresso del paese, assume oggi un nuovo, sinistro, significato.

[La foto del titolo è di Valeria Rocca ed è stata diffusa su Flickr.com con licenza creative commons]

 

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