Storie di vita e virus

«Questo libro è nato perché alcune persone, spesso sconosciute le une alle altre, si sono ritrovate a essere piccola comunità positiva, concentrata sul dopo. A dimostrazione che il distanziamento imposto dai tempi potrà essere fisico, ma mai sociale. Finché ci resta nel cuore un po’ d’umanità», spiega l’introduzione di “Ai tempi del virus”, un libro a più voci messo insieme a tempo di record e pubblicato gratuitamente in versione ebook da una giovane ma molto attiva casa editrice romana, la All Around.

Questa prima versione, uscita il 6 aprile, contiene racconti e cronache di 36 autori, in gran parte giornalisti. Come del resto è una giornalista (e scrittrice) di lungo corso Lucia Visca, che anima All Around.

Tra le firme in ordine rigorosamente alfabetico di “Ai tempi del virus”, oltre alla stessa Visca, troviamo anche il sindaco Matteo Ricci, il direttore della Federazione nazionale della Stampa Giancarlo Tartaglia, il politico Ugo Intini, la giornalista e dj Daniela Amenta, il cronista parlamentare Ettore Maria Colombo, per citare solo alcuni.

Qui pubblichiamo un racconto di Giampiero Cazzato, giornalista, ringraziando lui e All Around per la disponibilità (MDG)

 

CIAO MAMMA

di Giampiero Cazzato

«Ciao mamma, allora come va?». Era la frase con cui iniziava sempre le sue conversazioni telefoniche con la madre. Non era cambiata nemmeno in tempo di coronavirus. Quella donna, una volta autoritaria e spigolosa, ora solo spigolosa, era arrivata a quasi ottanta anni, di cui gli ultimi dieci almeno lamentandosi sempre di tutti gli acciacchi del mondo. «E’ passata dalla stronzaggine giovanile alla demenza senile senza nemmeno accorgersene», diceva lui parlando con una certa irriverenza dell’anziana genitrice.

Prima, prima di quel maledetto covid-19 passava nella casa della sua adolescenza un paio di volte la settimana. Si prendevano un caffè assieme, parlando di tutto e di niente, controllava quell’inutile montagna di posta con cui mani misteriose riempiono la cassetta delle lettere e resocontava  nei minimi dettagli il contenuto del malloppo cartaceo. Le più pallose erano le lettere della banca con l’annuncio del cambio unilaterale di qualche condizione contrattuale.

«Non vorrei ci fosse scritto qualcosa di importante che io non capisco, leggi con attenzione mi raccomando», intimava lei. «Tranquilla mamma, tutte scemenze» rispondeva sbuffando. Aveva stracciato le stesse lettere arrivate al suo indirizzo e con le stesse «scemenze» il giorno prima.

Un copione fisso le sue visite. Un’ora e non di più, la si sarebbe potute cronometrare. Poi, «ciao ma’, devo andare, devo ancora finire un lavoro. E’ un periodaccio, sapessi». Adesso – complici le molteplici autorizzazioni, a che numero erano arrivati?  – era da due settimane che non si faceva più vedere. A fare la spesa all’anziana donna e a sbrigare qualche piccola commissione ci pensava la vicina di casa «una santa», la incensava lui. In fondo quanti vecchi se n’erano andati dritti all’altro mondo nelle case di riposo senza che nessuno si degnasse di fargli la consolatoria (per chi la faceva) telefonata: «Allora come va?».

Insomma, si sentiva con la coscienza tranquilla per quello squillo quotidiano. Disertare per decreto (decreto interpretato pro domo sua, ovviamente) le visite, gli aveva dato un inconfessabile senso di sollievo. Anche se a  tutti quelli che incontrava raccontava che era così in pena per «mamma. Speriamo non si prenda niente».

Perché era un bravo figlio.  Talmente bravo che i primi giorni dell’epidemia, con il coronavirus già ad impazzare per strade e città, quando ancora era tutto confuso in una altalena tra “si può fare” e “non si può fare”, si era presentato incurante a casa delle madre. Aveva letto che i reclusi domestici si erano dati appuntamento sui balconi. Quale occasione migliore per dimostrare a tutti che era un ragazzo d’oro! Convinse la donna ad uscire in balcone ad intonare con lui “Fratelli d’Italia”.  Una sera indimenticabile, dalle finestre accanto, i vicini li salutavano. Tornò a casa quasi euforico.

Dopo quel giorno si inabissò.

«Mi spiace mamma ma per un po’ eviterò di passare da te. Devi capire che siamo in guerra. Hai sentito il premier in tv? Siamo in guerra».

Silenzio dall’altra parte del telefono.

«Gli spostamenti sono complicati e soggetti a controlli rigorosi, mamma. Se mi fermano e gli dico che vengo a prendere un caffè da te che sei praticamente autosufficiente, mi becco pure la denuncia. Siamo in guerra».

Silenzio.

«Ci sei mamma?»

Alla fine le parole uscirono.

«Sììì, guerra! Beato te!! Fate la fila al supermercato e vi sembra di essere eroi. La verità è che dei vostri vecchi ve ne infischiate e questa guerra, come la chiami tu, è l’occasione buona per fare quello che ti riesce meglio: fregartene». Clic.

Qualcuno, non ricordava nemmeno chi e dove – ma in quei giorni di cattività erano in tanti, tutti buonisti d’annata, vatteli a ricordare – aveva detto che saremmo usciti da quella pandemia, diversi e migliori, che eravamo tutti sulla stessa barca e che sarebbe stato bello e importante tornare a stringersi la mano.  Gli erano piaciute quelle parole. Erano così politicamente corrette. Così poco impegnative in fondo. Un decalogo di cui scordarsi alla prima occasione. E su Facebook e tutti i social che Dio ha messo in terra le aveva rilanciate entusiasta. Un adepta del cambiamento in meglio.  Perché diciamocela tutta, è così facile essere bravi con chi non si conosce, mentre era così faticoso e snervante e poco soddisfacente essere bravi con quella rompicoglioni di sua madre.

Poi un giorno a squillare fu il suo telefono. «Mamma! Ciao, come mai hai chiamato tu?».

«Ti volevo avvisare che sono positiva ma che sto bene».

«Positiva che?»

«Ho avuto il virus. Me lo ha trasmesso la nostra vicina, sì quella che tu chiami santa donna perché ti solleva dai tuoi doveri. E una fortuna che in questi giorni non sei venuto. Comunque quando puoi passa, c’è una montagna di posta».

« Sì la posta… Già, per fortuna che non sono passato», farfugliò.  Poi improvvisamente si ricordò del coretto intonato sul balcone, «uniamoci a coorte/siam pronti alla morte», e cominciò a sudare freddo.

[La foto del titolo è di Nchenga ed è stata diffusa su Flickr.com con licenza creative commons]

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