I doponauti

Non ricordo che mese fosse e nemmeno l’anno esatto. C’era il sole, però. Troppo sole. Non c’ero abituato ormai. Non ricordavo più dove avessi messo i miei vecchi occhiali a specchio, quei simil-Rayban, quell’imitazione anni Ottanta, comprata un giorno a Via Sannio, quando c’era ancora Via Sannio. 

Era domenica. La prima domenica dopo l’Apocalisse. 

Me ne ero accorto guardando la tv, col Papa che diceva messa su Rai Uno. A piazza San Pietro c’erano quasi ottanta persone, qualcuno con le bandierine tricolori e qualcuno con quelle bianche e gialle con le chiavi. “Ma come cazzo glielo permettono a tutta quella gente di stare lì?”.

Fu allora che mi ricordai della sera prima, quando annunciarono che la fine del mondo era passata. O quasi. E che poco alla volta tutto sarebbe tornato come prima. O quasi.

Era domenica e me lo avevi sussurrato anche tu: “Te la ricordi la domenica? Ci vedevamo sempre, prima di questo gran casino!”.

Quindi adesso basta con le videochiamate e quindi, sì, dovevamo proprio rivederci, anche se io stavo a Roma Nord e tu a Sud. Io isolato nel nulla, tu tra chiassosi palazzoni. A me il chiasso terrorizza sempre. Però era domenica quel giorno e, finalmente, forse si poteva anche uscire. 

Attivai l’App ministeriale, quella col nome strano, quella che era obbligatoria dopo l’ultimo DPCM. Era domenica, ma la prima domenica di post Armageddon era solo per le macchine con la targa A. Avevo la G. Però c’erano i bus. 

Misi l’ultima FFP2 rimasta nell’armadio e i guanti monouso, come da disposizioni governative. Fuori dal cancello c’era un odore strano. O forse era il solito odore, forse quello strano ero io, io che non uscivo da tanto, da troppo; uscire davvero, intendo, senza portarmi dietro le buste della spesa.

Il primo 338 passò veloce, senza fermarsi. C’erano già dieci persone. L’autista mi fece segno di no con una mano. Mi andò meglio col terzo, anche se il dispenser a bordo non funzionava. Eravamo in sei e ci guardavamo sospettosi, con la voglia di parlarci e il terrore di vederci così tanti, insieme in uno spazio così angusto, senza l’utile conforto dell’Amuchina. Prevalse quel terrore e restammo in silenzio.

La stazione Conca d’Oro mi sembrò quasi pulita, come non l’avevo mai vista prima. Gli altoparlanti del metrò ripetevano incessanti le disposizioni di sicurezza per il distanziamento sulle banchine e a bordo dei vagoni. Dopo circa tre ore scesi a Ponte Lungo.

Eri bella, quel giorno, anche dietro la mascherina chirurgica. O forse era il sole. 

“Guarda che la mascherina che hai messo tu non ti protegge mica, eh” ti dissi.
“Sì ma protegge gli altri. Lo sai che sono altruista, no? E comunque, mi porti a pranzo fuori, sì o no?”.
“Sicuro, ma sono aperti i ristoranti?”.
“Sì, sì, la pizzeria qui vicino è aperta. Ho visto prima. E poi sono i bar quelli che ancora non possono aprire”.
“Ah già!”.

Avevo in tasca gli ultimi ottanta euro, tutti in pezzi da venti. Mi vergognavo a fartelo capire. Ce li saremmo fatti bastare. O almeno così speravo. Poi domani si vedrà.

Due tavoli diversi, di fronte l’uno all’altro. Si faceva fatica a dialogare. Ma tanto lo sapevamo già che di parlare non avremmo avuto mica voglia, stanchi e tristi come eravamo, due sopravvissuti, col pensiero altrove e gli occhi fissi l’uno nell’altra. Due pulcini impauriti e asociali, davanti a una Margherita e a una Vegetariana.

Ci salutammo dopo il caffè e non sapevo se baciarti e tu non sapevi se baciarmi. Certo, di fare l’amore non ci pensavamo proprio. Anche se eri bellissima e me lo ricordo, eccome se me lo ricordo. E forse ero bellissimo anche io. Ci volevamo un gran bene e ci facevamo paura. Funziona così, dopo la fine del mondo.

Proprio così funziona. E funziona che oggi mi ricordo di te, di quel primo giorno dopo l’Apocalisse, della tua mascherina verde, del sole, della pizza Margherita e di quella paura. Ma mi ricordo anche di un mio vecchio amico, di quel Giovanni Minio, il poeta. Così si chiamava. Quello con cui bevevo in un pub affollato. Quello che persi di vista più di un secolo fa, quando c’erano ancora i pub affollati. Che fine avrà fatto?

Oggi mi ricordo del prima e del dopo, mi ricordo di te, mi ricordo di Giovanni e non so più distinguere quel prima dal dopo e non so più il perché. So solo che tu eri bellissima ed erano belle anche le sue poesie. So che lo persi di vista e persi di vista te, senza fare l’amore e volendoti un gran bene.

Ritrovai subito il suo libro impolverato, quella sera, una volta ritornato a casa. Me lo lessi d’un fiato, prima di addormentarmi, pensando che tutto sarebbe andato sicuramente bene. O quasi. O forse. E che dopo la pioggia c’è sempre l’arcobaleno, no? E che, in ogni caso, dopo si vedrà.

“Dopo le lotte
dopo le guerre
dopo di tutto
dopo il tempo,
il doponauta poté vivere.
I laghi erano secchi,
i mari ghiacciati,
le colline aride
ma lui visse
e continuò la specie.
Dopo la specie
dopo aver vinto
dopo aver perso
dopo essere stato l’ ultimo
dopo essere stato il primo
dopo la confusione
dopo la saggezza
dopo la speranza
dopo la disperazione
dopo la calma e la frustrazione,
il doponauta venne a galla.
Cominciò a vogare
cominciò a nuotare, a danzare
nel vociò infinito
nel perpetuo avere
nel perpetuo dare
nello stare, nello spaziare
nel dialettico avanzare
d’uno stormo di note.
Nel continuo inoltrarsi di parole
nell’affrancare, nel comunicare, nell’affrontare.
Dopo la fine il doponauta
continuò a vagare tra gli usi, i costumi e le genti.
Continuò ad aprire le menti
continuò a vedere
a rendere vere le cose di ieri.
Dopo i sentieri
dopo i giorni finiti
dopo gli infiniti
continuò a camminare.
Dopo il tutto, dopo il niente
è ancora là a osservare
è ancora là per amare.”

Comunque anche se non ti dovessi vedere mai più, anche se non ci fosse un dopo, anche se dimenticassi il prima, tanto, adesso, anche se piangessi, qui, da solo, in casa, anche se non fossi bello come il sole di quel primo giorno dopo l’Apocalisse, certo ora non mi vedrebbe nessuno…

Fu così che, dopo, piansi.

 

[La poesia originale è di Giovanni Minio. La foto è di Roberto Taddeo Foto 28 ed è stata diffusa su Flickr.com con licenza creative commons]

 

One thought on “I doponauti

  • 15 Maggio 2020 in 11:24
    Permalink

    Grazie per la citazione. Giovanni Minio

    Risposta

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