Roma dopo il coronavirus

Alla fine ufficiale del blocco anti-Covid 19, fissato al momento per il 3 aprile – almeno per le scuole – mancano ancora un paio settimane: ma si può, e si deve, cominciare a ragionare sul dopo-coronavirus, anche a Roma.
Ovviamente, non siamo in grado di prevedere se serviranno misure ancora più rigide per contenere la diffusione del virus, né quanto si protrarrà la crisi. Potrebbero esserci delle ricadute e dei nuovi picchi di contagio, e magari saremo costretti a restare di nuovo a casa fra qualche mese. 

In base alla durata, il timore sociale potrebbe protrarsi, e potrebbero anche cambiare in modo sensibile le nostre abitudini quotidiane, i nostri consumi. Anche se riapriranno le scuole, luoghi dove i virus hanno sempre circolato facilmente ma considerati comunque servizi di necessità, le persone potrebbero scegliere di non frequentare altri luoghi pubblici ma ritenuti non altrettanto essenziali.
Più durerà questo periodo, più profonde saranno le conseguenze, anche per la Capitale, sulle relazioni sociali e sull’economia, e anche sulla modifica dei rapporti di forza tra settori, con un prevedibile ulteriore aumento dei servizi online e a distanza. Ma dipenderà, ovviamente, anche da quali e quanti aiuti decideranno di concedere le autorità ai settori coinvolti.
Senza dimenticare un’altra crisi in corso e attualissima, ma meno evidente di quella del virus: il cambiamento climatico.
Quelle che indico qui sono solo alcune ipotesi di scenario.

Foto di Super 8 Photography diffusa su Flickr.com con licenza creative commons

IL TURISMO AI TEMPI DEL COVID-19

L’impatto della crisi sanitaria rischia di essere forte in particolare sul turismo e sui viaggi. Nel 2018 Roma è stata visitata da circa 29 milioni di turisti (dato Istat), in netto aumento sull’anno precedente (+7,6%). Non sono ancora disponibili i dati sul 2019, anche se, secondo la Fiavet, tra gennaio e agosto c’era stato un aumento del 2,5% rispetto allo stesso periodo del 2018).
Nel 2017, secondo il Comune, nella Capitale c’erano 11.000 strutture ricettive censite e regolari, tra cui 1.000 alberghi, senza contare le residenze abusive (5.000 circa, secondo un’inchiesta del quotidiano Il Foglio).

Nel frattempo è cresciuta la presenza di Airbnb, il sito utilizzato da persone alla ricerca di camere o appartamenti in affitto (non soltanto per turismo, ma soprattutto per turismo). Stando ai dati di Inside Airbnb, un progetto che mappa la presenza del sistema di accoglienza in giro per il mondo, attualmente a Roma ci sono oltre 29.000 annunci di affitto: per 18.000 di questi si tratta di appartamenti, per il resto stanze.
Difficile dire quante di queste case appartengano a società e quante a piccoli proprietari, ma l’impatto di una crisi generata dalla paura del virus, con un calo delle prenotazioni anche dopo la fine dell’emergenza, può provocare comunque una perdita significativa per il reddito annuale di diverse persone, visto che il mestiere di gestore di appartamenti Airbnb ha cominciato a diffondersi anche a Roma, con tutto l’indotto legato (pulizie, guide turistiche, etc).

Chip Conlye, un ex dirigente di Airbnb, a Roma nel 2014. Flickr.com

Il modello Airbnb è stato accusato di provocare la desertificazione di quartieri centrali o pregiati di alcune città, la cosiddetta airbnbizzazione. Roma ha certamente risentito di questo fenomeno, che però era cominciato già anni fa con la concentrazione di uffici e l’espulsione di abitanti dal centro storico (che infatti si è spopolato già nei giorni precedenti alla proclamazione ufficiale dell’emergenza, proprio per l’assenza di turisti che, allarmati, avevano già rinunciato alle vacanze romane). Ma è difficile dire se dalla crisi Covid-19 possa nascere una controtendenza senza politiche specifiche delle amministrazioni.

La riduzione degli spostamenti internazionali avrà ovviamente una conseguenza diretta sull’attività delle compagnie aeree e sugli aeroporti di Fiumicino e Ciampino – su cui operano complessivamente circa 100 vettori – col relativo indotto. Il caso più grave ovviamente è quello di Alitalia, che è in crisi da anni e che il governo vorrebbe vendere (in teoria le manifestazioni d’interesse dovrebbero arrivare entro il 18 marzo, ma alcune forze politiche hanno chiesto già il rinvio). A fine febbraio, proprio a causa della nascente crisi sanitaria, era stata già chiesta una nuova cassa integrazione per quasi 4.000 dipendenti sugli attuali 11.000.
Per quanto riguarda complessivamente i lavoratori dei due scali romani, si parla di circa 30.000-40.000 persone impiegate, compreso l’indotto (commercio, forze dell’ordine, catering, merci, compagnie aeree, pulizie, ristorazione, amministrazione pubblica). Già da anni, nonostante l’aumento dei passeggeri, dovuto in larghissima parte alle compagnie low cost, c’è in realtà una riduzione del numero di dipendenti e un ampio uso di ammortizzatori sociali per fare fronte alla crisi delle singole aziende.

Foto di Ivan Berberis diffusa su Flickr.com con licenza creative commons

Altro comparto toccato, quello degli agenti di viaggio e operatori del turismo (che già nei giorni scorsi, prima del blocco, avevano manifestato a Roma per chiedere interventi al governo). Si tratta ovviamente di un settore che negli anni si è drasticamente ridotto per il fiorire dei servizi via Internet: oggi, a livello nazionale (dato Fiavet) le agenzie operanti sono 8.500-9.000. 

 

DAL RISTORANTE A JUST EAT?

La crisi potrebbe anche mettere fine al boom – qualcuno parla di bolla – della ristorazione, che va avanti ormai da alcuni anni, non solo a Roma. E, contemporaneamente, far aumentare il settore della consegna a domicilio di pizza e piatti preparati, nella logica del #iorestoacasa.
A Roma, nel 2019, si contavano 9.615 esercizi di “ristorazione con somministrazione” (dato UnionCamere), categoria che comprende ristoranti, fast-food, rosticcerie, friggitorie, pizzerie etc che dispongono di posti a sedere, nonché birrerie, pub, enoteche ed altri esercizi simili con cucina. Nel 2015 erano 7.822.
Su cinque anni, l’aumento è stato di ben il 22% (mentre per i bar e simili, che nella Capitale sono oltre 9.300, l’aumento è stato molto più modesto: neanche il 3,5%). Questo significa migliaia di persone – inservienti, cuochi, etc, a cui aggiungere i fornitori di materie prime – coinvolte.

Foto di Stephen Curtin diffusa da Flickr.com con licenza creative commons

I locali che già usano le piattaforme online di consegna cibo come Just Eat, Uber Eats, Glovo, Deliveroo e simili sono ovviamente avvantaggiati. E le stesse società di consegna, che in questo periodo hanno raccolto più ordinazioni e aggiunto nuovi clienti, possono aumentare il volume di affari.

 

CRESCERÀ LA SPESA ONLINE

Per quanto riguarda le ricadute sul commercio, è probabile prima di tutto un aumento consistente della spesa nei supermercati online, che in Italia rappresenta ancora meno dell’1% del totale rispetto, per esempio, al 7-8% che si registra nel Regno Unito.
In questi giorni, i supermercati che consentono la consegna a domicilio a Roma hanno visto allungarsi anche di 10-12 giorni le scadenze (EasyCoop, per esempio, che pure è uno dei servizi più longevi). Ma ormai tutte le catene, discount compresi, sono attrezzati per questo tipo di servizio (e anche Amazon ha lanciato almeno dal 2019 un servizio specifico a Roma, Amazon Prime Now, in collaborazione con Pam/Panorama). Quindi, anche questo sarà un nuovo fronte nella guerra dei supermercati.

L’impatto riguarderà anche i mercati rionali e i farmer market, come quelli della Coldiretti, che sono luoghi di possibile assembramento. I mercati rionali soffrono da tempo della concorrenza dei supermarket, quelli della Coldiretti (che funzionano di solito nel fine settimana) sono più di moda, ma dovranno comunque organizzarsi per fare fronte alla nuova situazione (per esempio, aumentando i servizi online). 

Il nuovo mercato di San Paolo, sabato 14 marzo (foto di Luca Colombo)

Il caso del mercato di San Paolo District potrebbe fare scuola: l’ex rimessa Atac è stata strutturata per ospitare 30 banchi, rispettando le distanze di sicurezza.

Anche se hanno un numero limitato di aderenti, i Gruppi di Acquisto Solidale (GAS), che organizzano acquisti collettivi presso aziende agricole e zootecniche, potrebbero vedere una crescita, grazie al fatto che funzionano soprattutto sulle prenotazioni online.

Stesso discorso per aziende come Zolle, Ortelia, Cortilia, Orti A Domicilio e altre, che consegnano a domicilio frutta e verdura di stagione.

 

SOS LIBRERIE?

Dal 12 marzo le misure anti-virus hanno costretto alla chiusura le librerie, anche se sono rimaste aperte le edicole, che spesso oltre a giornali e riviste vendono anche libri. Ma soprattutto, continua a funzionare Amazon, che è stato in parte tra le cause del declino dei librai.

Anche le librerie che hanno inventato nuove formule per resistere – ospitando bar e sale da thé, o vendendo prodotti diversi dai libri – rischiano comunque di subire danni pesanti, perché a marzo di solito le vendite di volumi, più contenute dopo Natale, ripartono.

Foto di Marco diffusa su Flickr.com con licenza creative commons

 

INTRATTENIMENTO DI MASSA

Il timore prolungato del virus potrebbe avere un impatto negativo anche su cinema e teatri, discoteche e sale da concerto, luoghi cioè dove le persone si riuniscono.

Nel 2019 i cinema hanno registrato, a livello nazionale, una crescita significativa di spettatori (+13,55% e incassi (+14,35%), dopo tre anni di calo. Una conseguenza potrebbe essere quella di ampliare l’offerta delle sale anche in estate, dato che gli esercenti si sono accorti da qualche tempo – sulla base dei dati – che in realtà gli spettatori ci vanno volentieri anche col caldo.

Per i concerti a pagamento, il 2019 è stato un anno di aumenti sia per spettatori (+2,88%) che per incassi (1,87%), dice la Siae, che per il teatro ha diffuso finora solo i dati del 2018: spettatori +0,87%, incassi +2,84%. Ma a Roma, per esempio, nel 2019, è andato bene il Teatro dell’Opera, con l’incasso cresciuto del 8,4% e il pubblico dell’8%, secondo i dati forniti dallo stesso teatro. A parte le perdite del periodo attuale, bisogna appunto capire quale sarà la tendenza dei prossimi mesi.

Rischiano anche le palestre e le piscine, luoghi dove le persone si riuniscono al chiuso. Nel 2015 in provincia di Roma si contavano 192 palestre e 188 centri per il benessere fisico, secondo i dati della Camera di Commercio di Milano. E ancora, i centri sociali, ma anche i centri anziani: sono tutti luoghi di socialità.

Foto di Roberto Ventre diffusa su Flickr.com con licenza creative commons

 

E LE MANIFESTAZIONI?

Da anni a Roma si dibatte se e come regolare cortei e manifestazioni. È chiaro che la Capitale, la sede del governo, delle Camere, della presidenza della Repubblica e di tante altre istituzioni è anche il luogo deputato alla protesta, sindacale, politica e sociale (ma anche a iniziative come la sfilata per la Festa della Repubblica). Dopo il coronavirus, i sostenitori di una stretta alle manifestazioni potrebbero dunque avere maggiori chance, invocando non solo problemi di traffico, ma anche di salute pubblica. E potrebbe diventare però un precedente pericoloso. 

Foto di Eye/See diffusa su Flickr.com con licenza creative commons

TUTTI IN RETE?

Una delle novità di questa crisi è stata la maggiore diffusione dello smart working, o telelavoro o “lavoro agile” nelle aziende. Che però incontra ancora ostacoli tecnici, organizzativi e regolamentari. Ma, in vista di future emergenze, o anche soltanto perché alla fine ha cominciato a diffondersi, la pratica del telelavoro potrebbe aumentare, facilitando magari anche l’organizzazione familiare, in una città “ministeriale” come Roma.
In realtà, moltissimi autonomi (le famose Partite Iva, che nella Capitale hanno registrato nel 2019 l’aumento più forte dopo quello della sola Lombardia) lavorano già a distanza. Alcuni nei coworking, molti da casa (e non è detto che lavorare nella propria abitazione sia per forza positivo, perché si hanno meno relazioni con altre persone), altri ancora dalle sedi delle aziende con cui collaborano.
L’utilizzo dei vari servizi online pubblici, amministrativi e sanitari (ma anche per musei, eventi, etc) crescerà ulteriormente, come è ovvio, ma dipenderà anche dal tipo di accesso. In un Paese in cui si va sul web – e molto sui social e YouTube – soprattutto col telefono cellulare, usare questo tipo di servizi potrebbe essere più complicato. Oltre al fatto che le persone anziane, che sono tante, sono anche quelle meno alfabetizzate dal punto di vista digitale, e questo probabilmente accrescerà il divario.

Quel che è certo, è che la spinta al sistema 5G, cioè la rete di quinta generazione con un aumento esponenziale della velocità dei dati, sarà più forte di prima. Nonostante i timori espressi da alcuni sulle conseguenze per la salute e, soprattutto, da esperti, sulla sicurezza effettiva dei dati rispetto agli attacchi di hacker.
Il Comune di Roma sta già sperimentando il 5G da oltre un anno, insieme a Ericsson e Fastweb. Vodafone ha già acceso il proprio 5G nella Capitale dalla primavera 2019, Tim ha inaugurato il primo punto a fine 2018. E anche nell’ambito del 5G, c’è la pressione cinese, visto il peso crescente della Huawei nelle nuove infrastrutture.
Nel frattempo, Enel e Cassa Depositi e Prestiti, attraverso Open Fiber, stanno cablando da due anche Roma. 

Foto di Ornella Sinigaglia diffusa su Flickr.com con licenza creative commons

 

LA CINA PIÙ LONTANA?
O PIÙ VICINA?

All’inizio dell’epidemia di Covid-19, la comunità cinese, anche a Roma, è stata colpita soprattutto da un altro virus, quello della paura dei clienti. Perché nella Capitale da quasi 40 anni è un fiorire di ristoranti cinesi e sino-giapponesi, e negli ultimi anni di negozi di casalinghi, minimarket, negozi di informatica e cellulari, etc gestiti da persone di origine cinese (e del resto, è aumentata enormemente l’esportazione mondiale della Cina). Lo stesso Esquilino è spesso definito come la nostra “Chinatown”. Anche prima che fosse decreto il blocco delle attività commerciali, molti esercizi cinesi avevano già abbassato le saracinesche (si è parlato molto del caso di Sonia, la proprietaria di Hang Zhou, il più famoso ristorante cinese di Roma e forse d’Italia). Il punto è capire quale sarà la ricaduta anche per questa comunità, che pure fa pienamente parte della città.

Insieme, però, in questi giorni la Cina ha promosso un’iniziativa di attenzione verso l’Italia, con l’invio di materiale e personale medico per combattere il coronavirus. Gli scambi commerciali tra i due Paesi sono importanti. Secondo l’Istituto del Commercio Estero (Ice), nel gennaio 2019 le esportazioni italiane verso la Cina sono aumentate dell’8,04% rispetto al gennaio 2018, mentre le importazioni italiane dalla Cina sono aumentate del 9,44%. L’Italia è stato anche il primo Stato del G7 ad aderire alla “Belt and Road Initiative” cinese (un progetto per costruire infrastrutture in parecchie decine di altri Paesi).

 

IL RITORNO DELLA SANITÀ PUBBLICA

Il Lazio è uscito da pochi mesi dal commissariamento della sanità, dopo che per anni ha abbondantemente sforato la spesa. Per farlo, però, sono stati tagliati pesantemente servizi e ospedali. Anche a Roma, ma soprattutto nel resto della Regione. Mentre è cresciuta parallelamente la sanità privata.

“Secondo i dati del Ministero della Salute nel 2011 il Lazio aveva complessivamente 72 strutture di ricovero pubbliche, scese a 56 nel 2017”, scriveva su Fanpage Sarah Gainsfort. “In particolare, nel 2011 il Lazio aveva 46 ospedali a gestione diretta, nel 2017 (ultimi dati disponibili) erano 33. A Roma il Forlanini, il Santa Maria della Pietà, il San Giacomo hanno chiuso; il San Filippo Neri, il Sant’Eugenio e il San Camillo sono stati ridimensionati”.

Tutto questo ha avuto un riflesso nei posti in terapia intensiva disponibili per l’emergenza Coronavirus (perché non è che mentre è in corso la crisi del Virus non ci siano altre emergenze). Che succederà nel prossimo futuro? S’invertirà la tendenza al taglio degli ospedali? Si sposteranno più risorse sulla sanità pubblica? Si creerà una rete di centri di assistenza di livello diverso, anche per evitare l’intasamento dei servizi di pronto soccorso, che resta un grosso problema anche nella Capitale?

Foto di Stefano Petroni

L’INQUINAMENTO TORNERÀ

In questi giorni, molti si sono rallegrati della riduzione dell’inquinamento nelle città e dell’emissione di CO2, il principale gas a effetto serra, come effetto “benefico” della crisi coronavirus(che però va dimostrato). Ma si tratta di un calo assolutamente temporaneo. Il trasporto pubblico, che è già in sofferenza da anni (negli ultimi 10 anni Atac ha perso il 18% del pubblico, ha annunciato la stessa azienda nell’estate 2019) potrebbe registrare un’ulteriore riduzione di passeggeri, sempre per il timore di assembramenti che possano propagare il virus, con un aumento di auto private in circolazione.
Per spingere più persone a utilizzare i mezzi pubblici serve che questi ultimi funzionino meglio, ma per il momento non è così, anche se la giunta M5s sembrava impegnata fin qui a migliorare la situazione in vista delle prossime elezioni del 2021. 

Foto di Xavi diffusa su Flickr.com con licenza creative commons

Ci potrebbe essere un aumento dell’uso di mezzi di trasporto “sostenibili” (come le biciclette e i monopattini), ma mancano comunque piste ciclabili, e certo non verranno realizzate in tempi record senza un piano speciale, che però non sembra all’orizzonte. Secondo il sito piste-ciclabili.com, le ciclopedonali, le ciclabili e i sentieri coprirebbero in tutto oltre 600 km su circa 5.500 km di strade romana. Per l’associazione Salvaiciclisti, però, quella cifra è un bluff, perché la maggior parte dei percorsi (comunque realizzati in grandissima parte prima del 2014) non hanno indicazioni né infrastrutture. E i km effettivamente utili per la mobilità urbana sarebbero invece meno di 150. O meno di 300, tenendo conto anche di ville e parchi.

Foto di Allo Urbo diffusa su Flickr.com con licenza creative commons

E IL CAMBIAMENTO CLIMATICO?

Una delle vittime del coronavirus potrebbe essere la politica di investimenti contro il cambiamento climatico, per una semplice questione di bilancio: i soldi andranno probabilmente per l’economia e il lavoro, e per l’emergenza sanitaria.
Il Climate Change è una cosa che esiste e i cui effetti ormai sono chiari da tempo, ma continua a essere una crisi al rallentatore. A Roma non esiste neanche un vero piano anti-riscaldamento globale, nonostante la dichiarazione di emergenza climatica votata mesi dall’Assemblea Capitolina. Quindi il rischio, molto concreto, è che la questione passi in secondo o anche terzo piano. Mentre invece siamo in un periodo in cui sarebbe urgente ridurre rapidamente le emissioni di gas a effetto serra e modificare le abitudini delle persone, tenendo insieme necessità ecologica e sostenibilità sociale.

[La foto del titolo è di Stefano Corso ed è stata diffusa su Flickr.com con licenza creative commons]

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