La carbonara a stelle e strisce

Piatto simbolo della cucina romanesca, terribile tentazione per tutti i falsi magri della penisola, straordinario tripudio di carboidrati, proteine, grassi nobilissimi e spinta salina: la carbonara è uno dei piatti più celebri e celebrati della cucina non solo laziale ma anche italiana.

Di semplice preparazione è, come spesso capita, e come dovranno ammettere anche i nostri sovranisti alimentari, frutto di una contaminazione allogena. La pasta, uova, guanciale e pecorino altro non è che un adattamento della tipica colazione americana a base di uova e bacon alle nostre latitudini.


I soldati americani, sbarcati ad Anzio si trovarono ad avere a disposizione tutti gli ingredienti, comprese le uova in polvere che avevano in quantità copiosa al loro seguito. Altra ipotesi vuole che semplicemente abbiano visto i contadini, laziali e abruzzesi che si preparavano la Gricia e abbiano pensato di aggiungerci le uova. Fatto sta che questa origine così poco sovrana (il Re in quel periodo se la dava a gambe) e tipica sembra essere testimoniata da una serie notevole di prove documentali, diciamo così anche per sottrazione.

La bibbia di ogni buona cuciniera o cuciniere era, ed in parte è ancora, un mitico libro dal nome indimenticabile “Il talismano della felicità” redatto dalla grande Ada Boni, la scrittrice italiana più letta di tutti i tempi, il sacro testo viene editato nel 1927 per i tipi della Colombo, da allora diviene parte del corredo matrimoniale delle giovani coppie. Ebbene, nessuna traccia della nostra carbonara appare in questo libro, né nella prima né nelle edizioni successive fino al dopoguerra.
Nella letteratura gastronomica troviamo anche la testimonianza di un cuoco bolognese che sostiene di averla inventata lui per le truppe alleate di stanza a Riccione nel 1944. Renato Gualandi avrebbe attinto alla loro dispensa che disponeva di uova in polvere, bacon e formaggio, il nostro avrebbe aggiunto la pasta amalgamato il tutto et voilà.

Foto di Gaku diffusa via Flickr.com con licenza creative commons

In ogni caso non se ne esce, si tratterebbe di un piatto di fortuna inventato da soldati e contadini in tempo di guerra. Soldati angloamericani e contadini del centro Italia. Curioso che il primo articolo che ne riporti per linee generali la ricetta, sia uscito sulla Stampa di Torino, nel 1950, e che in questo pezzo si faccia riferimento proprio all’incontro tra la razione K statunitense e i nostri spaghetti e all’incredibile successo che il piatto ha anche oltre oceano.

Forse scalda di più il cuore la versione delle nostre mamme, che ci racconta dei carbonari che si portavano dietro le uova, il guanciale e la pasta e preparavano il pranzo, dopo aver fatto i cumuli di legna da cui ricavare il carbone, ma anche la carbonara forgiata dalla Liberazione non è male.
In ogni caso, che il guanciale vi sia croccante e lieve il tuorlo amalgamato al pecorino e spruzzato di pepe. 

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