Roma meneghina

Ve lo ricordate il milanese Adriano Celentano nelle improbabili vesti del romanissimo “Rugantino”? Era il 1973 e il “molleggiato” duettava al cinema con il grande Paolo Stoppa (nei panni del boia “Mastro Titta”), spiattellandogli in faccia, in uno stentatissimo romanesco, frasi come: “la mia è la trecentesima cappoccia che tajatte…”, ottenendo un effetto quasi esilarante agli occhi e alle orecchie di un romano, all’interno di una scena originariamente drammatica.

ADRIANO CELENTANO IN “RUGANTINO”

Tanto che, qualche anno dopo, il comico capitolino Max Tortora utilizzò proprio alcune scene di quel film per farne una meravigliosa parodia, che utilizzò come cavallo di battaglia nei suoi spettacoli e nelle sue performances.

MAX TORTORA IMITA CELENTANO IN RUGANTINO

Quel romanesco stentato di Celentano era il segno di una Milano che non riusciva, non solo ad amare, ma nemmeno a comprendere Roma, sentita come una città distante, profittatrice, cialtrona, barocca, messa al confronto di una Milano tutta concretezza, lavoro e produttività.

Così, pochi anni dopo, nel 1979, Alberto Fortis dava sfogo a quel rancore, covato da tempo, in una canzone che fu vista all’epoca come una dichiarazione di guerra fra le due città: “Milano sono tutto tuo… Vincenzo dice che sei fredda, frenetica, senza pietà, ma è cretino e poi vive a Roma che ne sa… Vincenzo io ti ammazzerò, sei troppo stupido per vivere!” gridava con rabbia Fortis nella sua “Milano e Vincenzo”.

IL VIDEO DI “MILANO E VINCENZO” DI ALBERTO FORTIS

Cominciavano gli anni della “Milano da bere” e poi quelli della Milano del sindaco Formentini, esponente di quella “Lega Nord” che gridava “Roma Ladrona!” inneggiando a miti celtici, pur di non riconoscere la propria eredità culturale romana.

Sembrava proprio che fra le due città dovesse proseguire e ampliarsi una rivalità atavica fra “capitale morale” e “capitale reale”. Invece, proprio mentre la Lega cominciava a pensare di togliere la parola “Nord” dal proprio nome, come in un romanzo rosa, l’odio cominciava a trasformarsi poco a poco nel più grande degli amori.

IL FAMOSO SPOT “MILANO DA BERE”

I primi sintomi si ebbero nel 2010, con quello che fu definito il “patto della pajata”, quell’accordo siglato fra l’allora segretario della Lega Umberto Bossi e l’allora sindaco di Roma Gianni Alemanno, davanti a uno dei piatti più tipici della cucina tradizionale capitolina.

Poteva apparire come una scaltra mossa propagandistica, determinata solo dalla contingenza politica del momento. A onor del vero, inizialmente fu letta proprio così dalla maggior parte dei commentatori. Invece era il segno di una osmosi che stava concretamente avvicinando le due “capitali” italiane.

BOSSI, ALEMANNO E IL “PATTO DELLA PAJATA”

Che l’antico odio dei milanesi per Roma nascondesse in realtà un vero amore, è apparso evidente nell’estate di quest’anno, quando il cantante J-Ax ha scelto di lanciare il suo tormentone estivo “Ostia Lido”. Roberto Aleotti (questo il vero nome del rapper milanese) si cimentava laddove nessun artista romano aveva osato: fare un vero e proprio “elogio di Ostia”. A dire la verità qualche raro romano aveva fatto altrettanto, ma si trattava di artisti di nicchia e semisconosciuti, relegati nei locali “off”, noti solo a pochi spettatori sonnacchiosi e ciarlanti, come ad esempio i Baltabaren, che qualche anno prima avevano realizzato un brano intitolato proprio “elogio di Ostia”.

I BALTABAREN IN “ELOGIO DI OSTIA”

Ben altro impatto, ovviamente, doveva avere l’uscita del brano più ascoltato dell’estate 2019, quello in cui Ostia è paragonata alle grandi mete esotiche del turismo estivo: “Cosa importa se sognavi Puertorico, quando stiamo insieme sembra il paradiso anche Ostia Lido!” cantava l’Aleotti. E il tutto avveniva non ad opera di un musicista “indigeno” cresciuto, che so, ad Acilia o a Casalpalocco, ma da parte di un figlio della periferia milanese.

IL VIDEO DI “OSTIA LIDO” DI J-AX

Con il disincanto tipico dei romani, all’inizio a Ostia la canzone viene accolta con sospetto, se non con vera ostilità: “Ma mo ‘sto milanese ce vo’ insegnà a noi com’è Ostia?”. Colpa anche della citazione che si fa nel video di una famigerata intervista rilasciata a Sky Tg24, alcuni anni fa, da due ragazze lidensi, quella in cui le due malcapitate parlavano di gelati Calippo e di birre bevute sulla spiaggia e che, a detta di molti, diede della località balneare un’immagine piuttosto rozza e volgare.

LE RAGAZZE DEL “CALIPPO E ‘NA BIRA”

Nonostante le polemiche dei primi momenti, J-Ax viene comunque invitato a esibirsi proprio sul lungomare di Ostia, in un concerto che vede un’ampia partecipazione di romani e di ostiensi, in un atto di affetto e di stima fra milanesi e capitolini, che, dopo l’ostilità iniziale, comincia ad essere reciproco.

IL CONCERTO DI J-AX SUL LUNGOMARE DI OSTIA

Ma la vera, grande e definitiva dichiarazione d’amore, da parte della Lombardia operosa verso la nostra Roma barocca, arriva qualche mese dopo. È il pavese Max Pezzali a scrivere il più bel brano sulla capitale pubblicato negli ultimi anni: “In questa città”, dove, oltre a citare luoghi poco turistici e che solo un romano sa apprezzare, posti come Prati Fiscali o Tomba di Nerone, oltre a parlare di cinghiali al pascolo e di varchi Ztl, quello che si avverte chiaramente è che il tono, il linguaggio, è ormai lo stesso di quello che userebbe un romano, senza avere più quelle tonalità incongrue dell’improbabile romanesco che aveva il Rugantino di Celentano.

IL VIDEO DI “IN QUESTA CITTA’” DI MAX PEZZALI

Pezzali dimostra di conoscere Roma e il suo spirito, di saperlo tradurre in parole (non a caso l’ex cantante degli 883 ha vissuto nella Capitale diversi anni), di saper guardare lo spirito romano con rispetto e con affetto profondo.

Le distanze che un tempo dividevano la sonnacchiosa capitale dal nord meneghino sembrano annullate ed è un lombardo che oggi può permettersi di dire che a Roma “mi ci porta il cuore” e che nella Capitale “c’è qualcosa che non ti fa mai sentire solo, anche quando vorrei dare un calcio a tutto”. Parole che noi romani non sappiamo più dire, noi “tre milioni di persone in questo frullatore”, noi “pariolini, alternativi, o sòla ben vestiti” che non sappiamo più amare la nostra città.

Ben vengano allora i lombardi a sussurrarci nell’orecchio “che si aggiusterà”, o a invitarci su al Gianicolo a guardare la città. Proprio come farebbe chi ci vuole davvero bene, quando ci vede un po’ giù.

[L’immagine del titolo è una rielaborazione di una picture ReQuadro]

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