Porta di Roma, la città-stato

“C’è un cuore che batte nel cuore di Roma” diceva Antonello Venditti in una sua vecchia canzone. E’ proprio a forma di cuore il nuovo logo di Porta di Roma, una delle più grandi gallerie commerciali d’Europa, la più grande della capitale, coi suoi 220 negozi, i suoi marchi italiani e internazionali come Auchan, Mediaworld, Leroy Merlin, Ikea, Sisal, Uci Cinema. 

Inaugurato nel 2007, il centro commerciale Porta di Roma, oggi gestito da un consorzio privato, nacque con l’intento di essere una galleria di negozi al servizio di una nuova zona urbanistica, progettata a Roma Nord grazie alla collaborazione fra il Comune e i più grandi immobiliaristi della capitale: da Caltagirone a Ligresti, da Parnasi a Santarelli. 

Il progetto complessivo era così centrale e importante per lo sviluppo della città, che nel contemporaneo ampliamento a tre corsie del Gra, fu previsto anche uno svincolo ad hoc, per evitare di congestionare il traffico della zona, mentre nascevano progetti (a tutt’oggi in fase di verifica e di discussione) per il prolungamento nell’area della metro B1.

Coi suoi 250.000 metri quadri di superficie, tra aree esterne e coperte, i suoi 18 milioni di visitatori l’anno, Porta di Roma è molto di più di una semplice galleria di negozi: è uno dei più importanti esperimenti sociali in atto sul nostro territorio in questo inizio secolo

Di fatto, la galleria fu però ultimata molto prima del quartiere adiacente, quasi che fossero i futuri residenti del quartiere ad essere stati concepiti con l’intento di fornire clienti al centro commerciale e non, viceversa, la galleria a fungere da servizio per il quartiere. Così (sempre “di fatto”, perché guai a dirlo ad alta voce), è il centro commerciale Porta di Roma ad essere diventato, rapidamente, il quartiere stesso. 

Foto di UpSticksNGo Crew diffusa su Flickr.com con licenza creative commons

Coi suoi 250.000 metri quadri di superficie, tra aree esterne e coperte, i suoi 18 milioni di visitatori l’anno, Porta di Roma è molto di più di una semplice galleria di negozi: è uno dei più importanti esperimenti sociali in atto sul nostro territorio in questo inizio secolo. 

Infatti, se novanta anni fa, con la “creazione” della Città del Vaticano riconosciuta dai Patti Lateranensi, nasceva all’interno di Roma un’entità dotata di una propria autonomia e di proprie strutture, non sottoposte ai vincoli delle leggi italiane, con il nuovo millennio, un analogo processo (per quanto mai formalizzato) si è avviato nella città dei sette colli in zona Bufalotta.
Alla guida dell’esperimento, al posto delle gerarchie ecclesiastiche a cui fu affidato il piccolo stato Oltretevere, troviamo oggi un gruppo di aziende private, segno dei tempi mutati e di un passaggio culturale e di potere avvenuto nel corso degli ultimi decenni.

È ancora presto perché qualcuno si prenda la responsabilità di dire apertamente che quello di Porta di Roma è l’esperimento pilota di una città futura, concepita interamente a gestione privata, non dotata dunque di organi politici e democratici di controllo, ma solo di un consiglio d’amministrazione che decide ogni intervento di sviluppo. Ammetterlo ufficialmente potrebbe provocare contraccolpi e proteste da parte di qualche cittadino, non ancora pronto ad accettare questa novità. Si procede perciò silenziosamente e per piccoli passi, creando una situazione di fatto da cui sarà poi difficile tornare indietro.

L’area della Bufalotta, nel 2009. Foto di Minimocomunemultiplo.lab diffusa su Flickr.com con licenza creative commons

E così, ecco che nello scegliere l’ubicazione degli uffici postali che debbono servire il nuovo quartiere, si decide di utilizzare i locali interni al centro commerciale. Anche per usufruire di sportelli bancomat, inesistenti nel raggio di diversi chilometri, chi abita in zona deve recarsi dentro la galleria. Se poi ristoranti, negozi, sale giochi, cinema, possono sembrare servizi usuali per un centro commerciale, meno usuale è trovarci un museo. D’altronde una città-stato degna di questo nome deve dotarsi anche di servizi di prestigio e dunque, a gennaio 2019, nella galleria viene inaugurato “Fidenae alla Porta di Roma”, uno spazio museale ricco di mosaici e di reperti d’epoca romana e preromana.

Dal punto di vista visivo e architettonico, la galleria Porta di Roma ha poi diverse affinità con le antiche cittadelle medievali

Ci sono poi gli spazi dedicati alla musica e all’arte: Porta di Roma è infatti diventato uno dei principali poli d’attrazione culturale della zona nord della città, secondo solo all’Auditorium. Qui si esibiscono artisti e gruppi di livello internazionale, da Goran Bregovic a Patty Pravo, da Tony Hadley all’orchestra della notte della Taranta, a Caparezza, in concerti spesso gratuiti. Qui le installazioni e i decori della galleria, inclusi gli addobbi natalizi, sono affidati ad architetti e light designer di fama, con opere non solo d’effetto ma spesso anche di buon valore artistico. La situazione è tale che persino un intellettuale engagé come Christian Raimo, esponente di una cultura politica d’ispirazione anticapitalista e assessore alla cultura di quel Municipio III in cui la galleria è inserita, ha dovuto arrendersi all’evidenza. Tanto che, quando nell’estate 2019 si è trovato a dover scegliere una location di prestigio per alcuni incontri pubblici dedicati alla letteratura da lui organizzati, ha optato proprio per la galleria Porta di Roma. 

Anche questo banale episodio dell’assessore che chiede “asilo” alla galleria commerciale per ottenere uno spazio prestigioso e di ampio passaggio, dimostra come, grazie alla nascita di luoghi come Porta di Roma, in città sia in atto un vero e proprio ribaltamento di posizioni: se un tempo erano i privati a dover chiedere i permessi alle autorità politiche per poter effettuare delle manifestazioni pubbliche, oggi cominciano ad essere le autorità pubbliche a dover chiedere il permesso ai privati, in un rapporto di forza sempre più invertito.

Foto di Fabrizio Lonzini diffusa su Flickr.com con licenza creative commons

Affermare questo non significa però dare alla cosa un valore necessariamente negativo. Anche perché, al momento, la piccola città-stato di Porta di Roma sembrerebbe funzionare piuttosto bene: il centro commerciale appare come una sorta di isola felice, all’interno di una città sempre più in decadenza. 

Se un tempo erano i privati a dover chiedere i permessi alle autorità politiche per poter effettuare delle manifestazioni pubbliche, oggi cominciano ad essere le autorità pubbliche a dover chiedere il permesso ai privati, in un rapporto di forza sempre più invertito

Funziona la sua manutenzione, con spazi spesso curati e puliti, inclusi quelli esterni o quelli dei parcheggi, dove non si nota il degrado di altre aree della città e persino di altri centri commerciali.
Funziona la sicurezza: merito forse delle mille telecamere sparse ovunque e di un capillare servizio di guardiania, nel corso dei suoi dodici anni di vita, il più significativo episodio di rapina che si è verificato all’interno della galleria è stato il furto di alcuni iPhone, avvenuto a settembre di quest’anno. Ben poca cosa rispetto a quanto avviene tutt’intorno in città.

Dal punto di vista visivo e architettonico, la galleria Porta di Roma ha poi diverse affinità con le antiche cittadelle medievali: circondata e protetta da viadotti e tangenziali (che svolgono la funzione che aveva un tempo il fossato), si presenta con le sue mura e le sue torri argentate e ha un monumentale portale d’ingresso, a forma di moderno arco trionfale in metallo. Varcata la porta, ecco poi apparire piazze e viali, cortili, saloni, scalinate, lunghissimi corridoi, personale di servizio e popolo chiassoso e indaffarato, quello che lì si riversa in massa, per essere protetto e coccolato dalla musica e dall’aria condizionata, nei fine settimana, o nelle giornate afose e in quelle di pioggia.

Come si confà a una vera città del medioevo, da qualche mese, Porta di Roma si è anche dotata di una propria cattedrale, costruita con fondi interamente privati (in un perfetto esempio di “spiritualità ai tempi del capitalismo”), gestita dalla Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni (meglio noti come “mormoni”), ben illuminata di notte, visibile anche dal Raccordo, con due guglie svettanti neo gotiche, su una delle quali troneggia l’angelo Moroni, quello che apparve duecento anni fa a Joseph Smith, il profeta della congregazione.

L’arrivo dei mormoni ha ulteriormente stimolato il processo di trasformazione in senso privato nella gestione di quella parte di città. E’ stata proprio la congregazione a riqualificare i marciapiedi di alcune vie pubbliche di accesso (un tempo vere e proprie discariche a cielo aperto), trasformandoli in giardini fioriti, pieni di colori e di piante ornamentali. E sono stati sempre loro ad offrire un servizio pubblico di pulizia delle strade e di decoro urbano, attraverso volontari appartenenti alla congregazione.

È ancora presto perché qualcuno si prenda la responsabilità di dire apertamente che quello di Porta di Roma è l’esperimento pilota di una città futura, concepita interamente a gestione privata, non dotata dunque di organi politici e democratici di controllo, ma solo di un consiglio d’amministrazione

Ecco perciò che Porta di Roma, con tutti i suoi difetti, è il migliore biglietto da visita per far dire ai romani, attraverso un rapido confronto con il resto della capitale, che “privato è meglio” e che la città in futuro non avrà più bisogno di un sindaco, ma al massimo di un amministratore delegato. Che poi ciò sia un bene o un male, sarà la storia a dirlo, ma che ciò possa avvenire in tempi molto più rapidi di quanto ora si pensi, è invece quasi certo.

Lo so, apparentemente sembra un po’ fantascienza o fantapolitica, ma, a Porta di Roma, questa è già la realtà.

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