Ostia Comune, appuntamento al buio?

No, il decentramento a Roma non ha funzionato. Dividere l’enorme territorio della Capitale, il più grande Comune agricolo d’Europa, in distretti municipali con i loro organi politici, rispondeva, nel 1966, allo spirito della legge sul decentramento dei poteri, che aveva come obiettivo lo snellimento dell’attività amministrativa e l’aderenza delle istituzioni al territorio di una città cresciuta in modo esponenziale dagli anni ’50 in poi, soprattutto nelle periferie.

Ma le realtà municipali hanno finito per essere (anzi, sin da subito sono state) una sbiadita anticamera del Campidoglio, di quelle con le poltrone scolorite e le riviste datate. I Municipi, pur dotati di organi elettivi, e pur gestendo spesso ampi quartieri, non hanno potere decisionale o di spesa su pressoché nulla, e comunque nulla di davvero importante. Così, le costose macchine municipali, hanno finito sempre di più per essere pantomime inutili della real politik di Roma Capitale, che ha mantenuto accentratissimi tutti i veri poteri amministrativi. 

L’esteso Municipio X, quello di Ostia, il secondo più grande di Roma, ha cominciato subito a manifestare irrequietezza. La gestione degli ettari di verde (per il quale era stata concessa un’amministrazione decentrata, ma senza vere risorse), il mare, la sempre crescente densità di popolazione e relativa urbanizzazione.

Ed ecco arrivare i due referendum per la secessione di Ostia da Roma, con la creazione di un Comune a sé. Entrambi con esito negativo., uno nel 1989 e l’altro nel 1999, anno in cui non si raggiunse neppure il quorum. 

Il dissidio Ostia Comune sì o no, è tornato da qualche anno a riproporsi come i peperoni mangiati a cena, forse a ricordarci, proprio come nel caso dei peperoni, che ci sono cose che forse non possiamo più permetterci.

I fautori di questo corso e ricorso storico sono molti stimabili professionisti dell’alta borghesia ostiense, che intravedono per questo secondo più grande Municipio di Roma molte opportunità nel distacco da una Capitale sempre più in affanno nella gestione del suo enorme territorio.
Le motivazioni sono in parte condivisibili: ricordiamo come gli ultimi decenni (con amministrazioni di tutti i colori politici) siano stati un gioco al massacro per questa città, tra clientele, marchette politiche di ogni genere, sfruttamento selvaggio del territorio, incapacità di gestione, assenza totale di una visione del futuro, e, last but not least, la corruzione.

Tuttavia, la storia di Ostia, che può competere con una media città del nord per estensione e popolazione, ci insegna ancora una volta (ne avevamo bisogno?) che i territori ricchi di risorse, prima fra tutte quella inesauribile delle spiagge, diventano molto rapidamente prede di appetiti criminali, veloci ad arrivare, ramificarsi, strutturarsi e durissimi da eradicare.
La sua storia recente, in particolare, ci narra di un sistema criminale, capace anche di evolversi, entrare nei gangli vitali dell’Amministrazione, e di inquinarla come una mala pianta, un tumore, una sepsi. È questo che fa la mafia. 

Foto di Frédéric Renaud diffusa su Flickr.com con licenza creative commons

Ma c’è ancora un discreto pezzo di città che respinge questo triste dato fin troppo reale. La mafia ad Ostia non ci sarebbe. Il che ricorda la memorabile scena di “Johnny Stecchino”, in cui il protagonista arriva a Palermo, e viene prelevato all’aeroporto da un tirapiedi del boss del posto. Mentre l’uomo guida, parla della città  col nuovo arrivato. “E poi Palermo ha un problema gravissimo”, dice, “il traffico”. 

Se la politica ostiense fosse svincolata da quella capitolina, dotata di un vero portafoglio, e per così dire, libera dalla longa manu di Roma, sarebbe davvero un’impresa salvarla dall’essere completamente fagocitata da interessi illeciti, clientele, contiguità col malaffare.
Già è successo, in epoche in cui il potere decisionale di Ostia era praticamente limitato a stabilire quale albero potare (il riferimento a fatti reali non è affatto casuale, vedi vicende di Mafia Capitale ad Ostia).
Gli anticorpi del potere centrale – già anch’esso in affanno – sarebbero tagliati fuori dalla linea di demarcazione del nuovo Comune.

E a proposito di linea di demarcazione, il nuovo corso di questo possibile terzo referendum, prevede di inserire solo alcuni distretti nel neonato Comune. I confini sarebbero rappresentati  dal mare, dal Tevere e dalla “linea d’acqua” dell’entroterra che prende il nome prima di Fosso del Dragoncello e poi Canale della Lingua.
L’attuale Municipio X sarebbe tagliato in due, e Acilia, Dragona, Dragoncello, Casalbernocchi, Axa, Casal Palocco, la parte alta di Infernetto e Malafede giocherebbero il ruolo di outsider. Zone destinate a diventare periferia di Roma e periferia di Ostia. 

Il parco “Massimo Di Somma” ad Acilia. Foto di Frédéric Renaud diffusa su Flickr.com con licenza creative commons

Ma, sempre a proposito di anticorpi contro il malaffare, qualcuno dirà che forse Ostia è pronta a battersi da sola contro di esso. A meno che alcune potentissime lobby del territorio non mettano gli uomini giusti al posto giusto, partendo col pagarne le campagne elettorali, come forse è accaduto anche in passato, quando in alcuni casi ci sono stati battage elettorali degni delle elezioni presidenziali statunitensi.
A guardar bene, sono in molti ad essere pronti ad affondare la nave, appena lasciata libera dopo il sospirato varo. 

Forse ci si dovrebbe chiedere se il Municipio di Ostia ha invece bisogno di competenze realmente decentrate, come e più di tutti gli altri Municipi. Il  suo “essere” Roma non può e non deve venir meno. Urge una riforma in questo senso, governata dall’Urbe. Una città che ancora non è riuscita a rialzarsi in piedi davvero dopo la disfatta di Mafia Capitale, che è stato un po’ togliere il coperchio ad una minestra ammuffita: un gran puzzo, che non si aspettava nessuno, anche se molti sapevano che il pentolone era lì da tempo. Una puzza che forse oggi si confonde con l’olezzo dei rifiuti per le strade. 

Eppure, secondo la Corte di Cassazione, che si è appena pronunciata sulle vicende di Mafia Capitale, non si tratta di mafia. Potrebbe anche essere stata una forma particolare di associazione culturale. O addirittura una ONG nostrana, non impegnata nel Mediterraneo a salvare vite (quelle sono già state ampiamente criminalizzate, di recente), ma sul caro vecchio Continente, a vampirizzare lo Stato, sfruttandole, quelle vite. 

Casalpalocco. Foto di Sergio Marchi diffusa su Flickr.com con licenza creative commons

Intanto, sulla possibilità di Ostia Comune, sarebbe opportuno riflettere. Chiedersi, senza retorica e senza voli pindarici, se, ad oggi, questa città si sia davvero ripulita dal malaffare e dalla criminalità che l’appestavano. O se si sia solo data una ripassata al trucco.
Probabilmente dovremmo pensarci bene.
Non sia mai che facciamo l’impresa di tagliare l’ombelico da Roma, e, dopo i festeggiamenti, ci svegliamo intontiti, come dopo un appuntamento al buio con sbornia, con un’amara sorpresa accanto.

(Cristina Alunni è stata anche consigliera nel X Municipio, dal 2013 al 2015)

[La foto del titolo, di Riccardo Cuppini, è stata diffusa con licenza Creative Commons su Flickr.com]

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