Per Roma sono ancora Malatempora

Dopo il successo di Malatempora, una cronaca giorno per giorno della vita dei romani sotto la giunta M5s di Virginia Raggi, tratta dai suoi post ironici e taglienti su Facebook, Daniela Amenta lo ha rifatto.
È da poco in libreria, infatti, Malatampora 2, in cui Daniela – ex giornalista dell’Unità e di altre testate, esperta musicale e conduttrice radiofonica (oggi su Radio Capital), autrice di un romanzo e di saggi, ma anche romana che vive in periferia e utente quotidiana di mezzi pubblici  – continua a raccontare con il suo stile originale, divertente e a tratti incazzato la quotidianità romana.

Il libro ha provocato già un po’ di polemiche di bottega politica ancora prima dell’uscita. Doveva essere presentato ufficialmente il 13 settembre alla Casa della Memoria, istituzione comunale che ha sede a Trastevere. Ma il tema del libro non è piaciuto a una parte della nomenklatura grillina, che ha colto la palla al balzo per attaccare il vicesindaco e assessore alla Cultura Luca Bergamo (uno “di sinistra” nella geografia interna del M5s). Risultato: la presentazione è stata annullata, con tanto di articoli di stampa sull’accaduto, e alla fine Malatempora è emigrato alla Casetta Rossa, a Garbatella.

Nella breve prefazione del libro, Concita De Gregorio scrive: “L’unica premessa possibile, in verità, dovrebbe finire qui: Leggetelo, per favore. Mettetevelo in tasca, tiratelo fuori quando vi spazientisce un’attesa. Quando questa città purtroppo nostra vi strema. Bastano cinque righe, in certi momenti. Si ride, si piange, si impara una cosa. Ci si riconosce negli angoli. Viene subito voglia di fare un gesto, a partire da ora. Tipo dire Buongiorno a ogni sconosciuto, come regola. Leggetelo: poi, se volete, parliamo”.

Di seguito, alcuni estratti del libro, pubblicato da All Around.
(Massimiliano Di Giorgio)

Bus in fiamme a via del Tritone, nel 2018 (Foto Omniroma)

Da capo a dodici

E a un certo punto è andato tutto in cenere, come se Nerone fosse ancora tra noi, suonasse serafico la cetra mentre la città brucia. Ventuno autobus trasformati in carbonella nell’anno domini 2018.  A fuoco anche il mostro Tmb, l’impianto dei rifiuti di via Salaria 981 che ha esalato l’ultimo venefico respiro a dicembre tra fiamme alte 15 metri. Un mostro tra i palazzi, una bomba ecologica, che resta lì, spento e bruciacchiato, tempio e paradigma dell’immondizia alla romana, o dei cassonetti stracolmi un giorno sì e l’altro pure, con sorci e gabbiani invitati al gran banchetto mentre l’Ama è al limite del  fallimento.  

La città che si sfalda, che dice no a tutto – Olimpiadi, metro, piano anti buche, piano monnezze, d’improvviso dice sì allo stadio di Tor Di Valle, sancta sanctorum della mutevolezza grillina. Dice sì a dispetto di un’inchiesta con ben 15 rinviati a giudizio tra cui il costruttore re del progetto, Parnasi, dice più precisamente yeah, daje, #famostostadio nonostante la bocciatura del Politecnico di Torino che in 55 pagine toste come travertino ha spiegato alla sindaca, Raggi Laser, che in quella zona senza investimenti, infrastrutture di collegamento sarà un casino di traffico, di viabilità bloccata per un intero quadrante della città. 

Ci sarebbero emergenze vere, ma in nome del popolo sovranista prenderemo la bici per raggiungere ‘sto stadio visto i bus o bruciano o non arrivano o sono fermi per sciopero, la metro C ha solo 8 convogli in funzione e gli altri 5 in manutenzione, la fermata della linea A Repubblica è chiusa da tre mesi dopo il crollo della scala mobile con corollario di feriti. E l’Atac ha i conti in rosso. 

La città brucia o al contrario si allaga. Provate ad attraversarla quando piove, questa Città così eterna che fra un po’ ci chiederà i danni per abuso di gloria storica. Zuppa, isterica, bloccata e indifesa. Con l’acqua alla gola. 

Città senza memoria dove vengono perfino trafugate le pietre d’inciampo a Monti, dove i barboni muoiono di freddo, dove in nome del decoro vengono sfrattati i rifugiati a San Basilio e allontanati i migranti della Tiburtina. 

Un altro anno è trascorso. E stamo da capo a dodici.

 

Noialtri, gli invisibili

Io di qui, di questo posto, del mio quartierino
amo il piccolo e l’invisibile.
Ne amo la periferia, la distanza dai centri
Amo questa comunità che ancora accoglie
perché sa la lontananza:
le vecchie in tre a farsi bastone,
il cappuccino alle 6 come cena,
le risate discrete tra denti che ballano e nostalgie.
Amo le trovate:
il cane lasciato fuori dalla chiesa
in custodia a una madre Rom con bambina:
l’elemosina che si fa scambio di favori.
Amo le cose minuscole che ci fanno luogo
Amo la fatica che facciamo a pensarci come noialtri, noialtri.

Murale a Tor Marancia. Foto di Fabrizio Russo diffusa su Flickr.com con licenza creative commons

La cura della gentilezza

Ho preso a salutare. Tutti. Ovunque. Buongiorno e buonasera. Non potendo fare altre rivoluzioni, faccio questa. Sull’autobus tipo salgo e dico buongiorno, mi rispondono a volte solo i vecchi sorpresi: “Buongiorno signora”. L’altro ieri una donna, credo filippina, ha risposto con un sorriso: “Buongiorno, stia bene”. Dico buongiorno sull’ascensore di casa e ci aggiungo: “Come sta? Come va?” mentre il vicino guarda ipnotizzato i bottoni dei piani e le punte delle scarpe. Oggi con la mano ho salutato una bambina piccolissima sulla carrozzina, ciao ho detto. Lei pure ciao ha fatto, aveva un biscotto ciancicato che stava mangiando. All’angolo ha iniziato a strillare, mi indicava, io ero seduta sulle scale dell’Ama in piazza, capolinea dell’autobus. Il padre un po’ imbarazzato è tornato indietro, me l’ha piazzata davanti con il suo ricciolo biondo e ‘sto sorriso del sole. Se semo smezzate il biscotto ciancicato, io e la pupa. Sisters per sempre.

 

Restando umani

Sono stata al Pronto Soccorso di un grande ospedale del Paese degli odiatori, dei razzisti, dei respingenti. C’erano in attesa con noi, cittadini italici ariani, numerosi migranti. Ebbene, a dispetto della narrazione che piace tanto all’odiatore del Viminale, quello che a suo dire avrebbe 60 milioni di affogatori alle spalle, ho visto solo scene di solidarietà. C’era questo ragazzo molto giovane del Burkina Faso che aveva male alla pancia. Infermieri, medici, ma pure noi in attesa, ci siamo tutti prodigati con il nostro francese impossibile  per aiutarlo. Come stai, che te senti, la vuoi l’acqua? Ti vado a prendere l’acqua? Nessuno all’accettazione gli ha chiesto lo status. Nessuno. Ha fatto la sua fila, è passato quando è arrivato il suo turno, ha detto alla sala d’attesa del triage “merci” ed è stato portato via. Idem per altri: credo un cittadino siriano che lavora in una pizzeria, un nero con una sospetta crisi epilettica. Accolti e curati in quanto semplicemente esseri umani. 

Per dirvi che siamo un Paese più civile, migliore di quello che qualcuno con scientifica protervia, si ostina a raccontare. Migliore dei forum, dei social, della melma dove galleggiano gli infami. Migliore dei balconi dove a qualcuno fa comodo si moltiplichino i cecchini. Migliori dei fascisti, degli omofobi, della zella degli intolleranti. Siamo migliori. 

Ce la faremo a ribadirlo che siamo migliori, che ci meritiamo un Paese migliore.

Foto di Capsicina diffusa su Flickr.com con licenza Creative Commons

Il palo della morte

Questa è la settimana del palo “de la morte”, per citare Verdone. Padri de famiglia in ciavatte che cercano di stipare all’inverosimile vecchie utilitarie trasformate in Tir de ombrelloni, de borse frigo, de magliette, pareo, asciugamani, abbronzanti, sciampi riparasole, peperonate, polli, cocomeri, maschere sub del tipo TROPICAL, ovvero di altissima precisione pure se la meta è Fiumicino. Seguono scazzi familiari impronunciabili: metti questo, aggiungi, ah ‘mbe io a ste condizioni sappiate non parto. Grida, tensioni, qualche lacrima. 

Ve salutamo coraggiosi in fuga dall’Urbe nella settimana del palo della morte. A noi restanti tocca il mantra coi negozi aperti: “Scusa, quanno chiudete? Ma tipo a Ferragosto un par d’ore ce state?”. Nella settimana palo della morte noi rimanenti, i resilienti, smisteremo la posta dalle cassette dei vacanzieri onde evitare furti. Annaffieremo le piante di tutti i pianerottoli, sogneremo il rumore della sabbia quando si fa la buca e si infila un ombrellone, guarderemo da lontano la spiaggia di Roma che Raggi Laser ha voluto a viale Marconi, una colonia elioterapica dove morire d’infarto per il gran caldo. Mentre i sorci ballano.

 

Blitz contro i Casamonica

Martedì 20 novembre 2018, Roma 

ore 5 Blitz di 6 miliardi di pizzardoni versus Casamonica al Quadraro. Pare il dream team sia giunto in loco grazie alla sferragliante flotta Atac. C’è odore di vittoria in the air. 

ore 5, 05 prime soddisfatte, entusiasmanti dichiarazioni della sindaca atestaalta

ore 6, 00 Lungotevere chiuso per merda di stormi di storni

ore 7,00 Salvini si ascrive la vittoria versus Casamonica

ore 7,05 Il M5S s’encazza e si ascrive la vittoria versus Casamonica

ore 7,08 Il Comitato autisti Atac si ascrive la vittoria per aver condotto con sferragliante vigore le forze speciali in loco

ore 7, 09: Le forze speciali sfanculano Atac: era mejo annavamo a piedi, segue scazzo sull’ascriversi la vittoria

Ore 8.00 Cappuccino collettivo

Ore 9.00: I Casamonica minacciano. Cronisti sconvolti dar sonno e dalla notizia denunciano

Ore 10: Gallery su ghepardi de porcellana e rubinetti d’oro de casa Casamonica. 

Ore 17.00 Il premier Conte si ascrive il blitz ma viene insultato da Lega e 5 Stelle e Atac e pizzardoni: roba nostra. Segue battaglia a colpi de comunicati muscolari. 

Resta il vuoto delle ore 11

Alle ore 11 altri 50 immigrati vengano cacciati a calci in culo sotto la pioggia dalla Stazione Tiburtina Neanche il tempo di prendere le loro modeste cose. 

Si chiama distrazione di massa.

 

Tra pinucci e ciclamini

Meno male che quest’anno ci ha pensato Netflix a restituirci un po’ d’atmosfera con un dignitoso Albero di Natale in piazza Venezia: i pupi contenti e turisti a farsi i selfie.
Che se aspettavamo le potature ammazza alberi del servizio Giardini, e i ciclamini che il Campidoglio ha piantato lungo la Colombo, afflosciati già a Capodanno, stavamo freschi.
I ciclamini. Io me le immagino a luglio ‘ste povere piantine sotto l’incudine del sole che rimbalza feroce tra turbo scarichi di 10 miliardi di auto al minuto, sgommate, asfalto che brucia.  Poveri loro. Poveri noi. 

Ps.
Mentre scrivo si è dimessa dalla squadra capitolina Pinuccia Montanari, l’ultima pasdaran di Raggi Laser, il nono assessore che molla, la donna all’ambiente che giurava che Ama, l’azienda dei rifiuti,  si sarebbe salvata (e invece no, il crac è un rischio concreto a fronte di 1,7 miliardi di debiti), la politica che celebrava la beltà di Spelacchio e proponeva il taglio di tutti i pinucci sulla Colombo per evitare rami in caduta libera, avvallamenti di radici e mortali incidenti.
Malatempora.

 

[La foto del titolo è di Rafel Miro ed è stata diffusa su Flickr.com con licenza creative commons]

 

 

 

 

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