Un’oasi social nel cuore di Roma

Roma, si sa, è una città tentacolare, fatta di pieni e vuoti senza continuità, di palazzoni e di campi dove pascolano le pecore, di raccordi di asfalto e di spazi archeologici, di luoghi istituzionali e insediamenti abusivi, gioia e dannazione degli urbanisti e di chi ci vive.
Quando parliamo del centro della Capitale, ci viene in mente subito il Tridente, l’area incorniciata tra tra Via Ripetta, via del Corso e via del Babuino, dominata dagli uffici e dai turisti. Ma in una città così vasta, dove mezzo milione di persone almeno vivono al di fuori del Raccordo Anulare, il centro in realtà è molto più vasto, occupa almeno il Primo Municipio e va anche oltre, non è solo un concetto geografico.

La Città dell’Altra Economia si trova appunto in pieno centro: nel Campo Boario di Testaccio, più noto ai romani come l’ex Mattatoio, tra il Tevere e il Monte dei Cocci, un complesso monumentale disegnato da Gioacchino Ersoch e costruito tra il 1888 e il 1891.

Alla Città dell’Altra Economia, il 29 marzo 2015. Foto di Sushine City tratta da Flickr.com


Accanto al museo Macro e ad altri spazi gestiti dall’Università Roma Tre, a quello che resta di uno dei più vecchi centri sociali romani e a uno storico insediamento di rifugiati curdi, alla sede della Casa della Pace (che oggi è soprattutto un’associazione culturale e artistica), nonché alle ultime stalle per i cavalli che tirano le botticelle, la parte occupata dalla CAE comprende circa 3.500 metri quadrati ben ristrutturati.
Qui vivacchiano un bar, un ristorante, un supermercato bio che ha visto tempi migliori, una sala conferenze attrezzate, vari spazi commerciali con alterno successo. C’è tanto spazio all’aperto per i ragazzini e per festival e mercati (anche quelli, vivacchiano).
Si tratta di un luogo bello ma poco frequentato, che potrebbe offrire molto di più ai romani, anche se fosse soltanto meglio organizzato.

Si tratta di un luogo bello ma poco frequentato, che potrebbe offrire molto di più ai romani, anche se fosse soltanto meglio organizzato.

Quella della Città dell’Altra Economia è stata quasi sempre una storia precaria. Nata dall’occupazione degli spazi negli anni 80, poi vincolata a uso specifico da due delibere della giunta comunale, nel 2004 e poi nel 2011, la sua assegnazione a un inedito consorzio nel 2012 è stata al centro di polemiche. Perché associazioni e coop legate sia alla sinistra che alla destra (Aiab, Agricoltura Nuova, Coop 29 Giugno, Coop Integra)  si sono coalizzate e hanno vinto il bando per gestire l’area. Un’anomalia politica, che a prima vista poteva anche risultare una soluzione di pacifico compresso nel nome del sociale dopo anni di ostilità. Ma nel 2016 l’inchiesta Mafia Capitale ha fatto emergere un quadro un po’ diverso, perché la coop 29 Giugno faceva riferimento a Salvatore Buzzi, l’ex detenuto modello diventato poi manager della cooperazione romana e infine socio in affari di Massimo Carminati, già estremista di destra e storicamente legato alla malavita organizzata.
Dal 2016 a oggi gli organizzatori hanno comunque continuato a gestire la CAE, dando spazio a varie iniziative, ma il rilancio non c’è stato.

Foto di Marco Troia, da Comune-info.net

Ora, dunque, bisogna difendere questo spazio dai numerosi rischi che incombono. Il primo è che l’abbandono dell’area venga pilotato per giustificare poi la normalizzazione, cioè la trasformazione in una sede istituzionale o l’assegnazione a qualche fondazione, che priverebbe tutti di quello spazio. Poi, c’è sempre la possibilità che uno spazio vuoto faccia gola a qualche costruttore, non necessariamente per farci case ma edifici ad altra destinazione, i famosi servizi.

Dal 2016 a oggi gli organizzatori hanno comunque continuato a gestire la CAE, dando spazio a varie iniziative, ma il rilancio non c’è stato.

Da tempo ormai la confinante zona del Gazometro è al centro di una gentrificazione – cioè imborghesimento – che ha trasformato la zona in una distesa di esercizi commerciali alla moda. L’idea di “altra economia” non era questa, ma quella di uno spazio di socialità basato anche su un certo tipo di consumi e produzioni alimentari e culturali diverse. Se è fallito un modello di organizzazione dello spazio (che era soprattutto scarsamente organizzato), non è però venuto meno né il bisogno di uno spazio diverso né il progetto.
Questo non significa ovviamente che iniziative di questo genere non servano anche nelle periferie, servono eccome, ma bisogna bloccare l’espulsione dal centro di persone e attività, pratica che ha già provocato tanti danni, sociali e urbanistici.

C’è da sperare dunque che entro il 9 maggio arrivino tantissimi progetti “che concorrano agli obiettivi di rilancio dello spazio pubblico”, come dice la pagina del sito web del Campidoglio che promuove la call.
I risultati, dice il Comune, “saranno valutati da una commissione giudicatrice che selezionerà una short list delle idee più coerenti secondo il fine pubblico da perseguire e la fattibilità del progetto. All’esito della CALL l’Amministrazione avvierà una procedura selettiva ad evidenza pubblica per l’allestimento, la rigenerazione e la gestione dello spazio della ex CAE”.

Foto tratta da Artribune.com

Ovviamente, non saranno indifferenti, ai fini del giudizio, la composizione della commissione, e la filosofia a cui si ispireranno i suoi membri. La politica dei bandi condotta dalla giunta M5s in questi anni non è stata un sinonimo di qualità, perché è mancata la capacità di riconoscere le iniziative valide nate spontaneamente – per esempio il cinema in piazza organizzato dai ragazzi del Cinema America – e la logica della formalità burocratica ha prevalso sui contenuti (e i risultati della giunta Raggi in fatto di trasparenza vanno tutti dimostrati).
Ma è solo tenendo l’attenzione pubblica su questa oasi social nel cuore della città che forse si eviteranno altri fallimenti.

[La foto del titolo è tratta dal sito web cittadell’altraeconomia. org ed è di Ic Architettura]

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