Ciao processo, arrivederci Atac

Con tutte le garanzie e il rispetto delle scelte che si vuole, non è facile mettere da parte il pensiero che la richiesta di un giudizio immediato da parte della sindaca Virginia Raggi  sia stato un escamotage giuridico per allontanare dall’agone elettorale il processo per falso, in relazione alla nomina (poi revocata) di Renato Marra alla Direzione Turismo del Campidoglio, che la coinvolge.
Il Giudice, accogliendo la richiesta della prima cittadina, ha spostato l’inizio del processo al 21 Giugno, una data a impatto zero da un punto di vista politico, almeno per quanto riguarda le elezioni politiche del prossimo 4 marzo.

La cosa che meno apprezzo, di tutta l’operazione, è la sensazione di considerare la gente fregnona, incapace di ragionare su quanto accade, di essere distratta, di lasciar correre ogni cosa.
Questo modo di agire fa parte della cattiva politica e prima o poi se ne pagano le conseguenze, in altri termini:  questi comportamenti al momento del voto hanno un loro peso. Certo, di problemi e motivi per non essere soddisfatti della Giunta Pentastellata ce ne sono tanti altri, però c’è una questione di stile che si fa sostanza di fronte agli occhi degli elettori. Il comportamento di un politico, essendo un cittadino con responsabilità pubbliche particolari, si giudica anche da questo.

Su un piano, in parte diverso, ma non tanto lontano da questa prima considerazione, si colloca la proroga del contratto di servizio in house ad Atac fino al 2021, scelta che rende inutile il referendum consultivo per la messa a gara del trasporto pubblico.
Il Comune ha motivato la delibera spiegando di voler dare tempo all’azienda pubblica di rimettersi in sesto finanziariamente.
Tutti sappiamo delle difficoltà che affronta Atac, basta prendere un mezzo pubblico per rendersene conto. Insieme alla bassa qualità dei servizi c’è il macigno dei conti, di debiti che mettono l’azienda sull’orlo del fallimento, al momento scongiurato grazie al concordato preventivo.
Tuttavia il Tribunale potrebbe chiedere un taglio dei costi e un ulteriore intervento economico da parte del Comune e Regione, che non essendo in grado di sostenerlo sarebbero costretti a rivolgersi a dei privati.

Da una parte si mette da parte la richiesta di un referendum ottenuta grazie alla raccolta di 33mila firma da parte dei radicali con l’iniziativa “Mobilitiamo Roma”, per cui come scrive Riccardo Magi “un atto non soltanto di indifferenza, ma ormai di aperto spregio, nei confronti della partecipazione popolare e di tutta la città”.
Sempre considerando che esiste una direttiva europea che richiede la messa a gara del servizio entro il 2019 e un pronunciamento dell’Antitrust che considera la scelta del Campidoglio lesiva della concorrenza.  Quindi per quali calcoli segreti si sceglie un percorso paradossale che non porta da nessuna parte?

Dall’altra si ha l’impressione dell’essere presi in giro, di sottovalutare l’attenzione a vicende che solo apparentemente sono di scarso peso, come il depotenziare in malo modo – senza soluzioni reali – l’espressione di un volto consultivo con il referendum.

[La foto è di Stijn Nieuwendijk, ed è stata pubblicata con licenza creative commons suFlickr.com]

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