Atac, perché sì al referendum

Che il trasporto pubblico nella Capitale sia in condizioni disastrose è una constatazione comune, anche se si può discutere, lungamente, di chi sia la responsabilità. L’idea di fondo dei radicali romani, che in questi giorni stanno raccogliendo le forme per un referendum consultivo cittadino, è che se ci fosse concorrenza, la qualità del servizio migliorerebbe.

Quindi, spiegano, bisogna mettere a gara il servizio pubblico – bus, tram e metro – assegnandolo se necessario anche a più società, rispettando però la salvaguardia e la ricollocazione del personale.

Ovviamente non c’è alcuna certezza che sia così, sostengono i critici. Sia d’esempio quello che succede da tempo con Roma Tpl, un consorzio pubblico-privato che gestisce alcune decine di linee ex Atac (il 20% di quelle romane) in periferia dopo aver vinto una gara pubblica.
L’azienda paga gli stipendi a singhiozzo ai quasi 2.000 dipendenti, con frequenti scioperi e disfunzioni, nonostante l’accordo del 2015 coi sindacati. In effetti, quello di Roma Tpl è un problema serio, e non si può pensare di risolverlo soltanto comprimendo il costo del lavoro.

Ma perché il trasporto pubblico funziona così male, negli ultimi decenni? Certamente c’è un problema di gestione interna, di un’azienda diventata sempre più un postificio, di sprechi e ruberie finite al centro di inchieste della magistratura (quella cosa a cui tendiamo ad attribuire tutte le colpe, o quasi, in Italia: la corruzione). C’è il corto circuito tra politica e sindacato, la mancanza di controlli etc. Però, c’è anche molto altro.

C’è il fatto, storico, che Roma è sempre stata Capitale sulla carta, senza godere dei contributi di cui godono per esempio Parigi, Londra o Berlino. E nonostante questo, la prima amministrazione Rutelli era riuscita comunque a dimezzare il deficit di Atac, a metà anni 90.

Poi c’è un problema, per così dire, urbanistico. A guardarla su una mappa, si capisce Roma è una città tentacolare, con molte aree abusive, cioè non progettate, con un’estensione vastissima, difficile da servire (anche per la raccolta dei rifiuti). E in passato, quando si progettavano le opere per le Olimpiadi del 1960, si puntò sulle auto, anche perché c’era da sostenere la produzione nazionale (Fiat). Oggi, a Roma, secondo gli studi, basterebbero quattro linee della metropolitana (e pare comunque un’impresa), servite da una rete di tram.

Poi c’è la crisi, quella finanziaria scoppiata nel 2007-2008, che ha protratto i suoi effetti nel corso degli anni anche sulle finanze pubbliche e sui Comuni, costretti a tagliare servizi, soprattutto in outsourcing (quelli sociali, soprattutto). Ci hanno rimesso gli utenti e i lavoratori del terzo settore, soprattutto, mentre i dipendenti pubblici hanno comunque salvato il posto di lavoro, bisogna dire. Non era scontato, visto che in altri paesi i licenziamenti hanno riguardato anche loro.

Allora perché vale la pena di sostenere il referendum? Per dare un segnale prima di tutto al Campidoglio, e all’Atac, perché che le cose devono cambiare.

(Anche sui rifiuti: e c’è sempre la proposta dell’Antitrust di mettere a gara il servizio di raccolta e trattamento rifiuti nei vari municipi).

E come dovrebbero cambiare, le cose? Lanciando una gara europea, che consenta di provare a mettere in campo anche a Roma esperienze realizzate in altre città (per esempio, perché la Regione Lazio ha bocciato frettolosamente la proposta della francese Ratp di ammodernare e gestire la Roma-Lido? Ora, grazie al vituperato Tar del Lazio, dovrà riprenderla in esame) e costringendo Atac a fare uno sforzo per presentare una proposta attraente.

Ovviamente non occorre mettere tutte le linee e tutti i servizi a gara. Per esempio, in periferia il Campidoglio dovrebbe intervenire direttamente, perché è più difficile (e il caso di Roma Tpl lo dimostra) che il servizio di trasporto pubblico possa attrarre aziende di qualità.

Ma è essenziale anche intervenire sul traffico e scoraggiare l’uso delle automobili, con sensi unici e corsie preferenziali, per facilitare i mezzi pubblici (e le biciclette). E progettare linee di tram, ma anche completare la Metro C e dare vita alla D. E lasciare spazio al nuovo trasporto pubblico non collettivo (Uber o altro, non importa).

Se in tutto questo movimento aumentasse il prezzo di qualche biglietto (ma bisogna prima di tutto fermare l’evasione), non sarebbe una perdita. Perché costa molto di più, in termine di soldi, tempo e salute, una città che non funziona.

 

[La foto del titolo è di Alessandro Ambrosetti, ed è stata pubblicata su Flickr con licenza creative commons]

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