Roma. Incolpevole e innocente

Nel libro “Roma Brucia” (Imprimatur 2015) scrivevo: «E Ignazio Marino, incolpevole ma distante dai cittadini romani, ha pensato che un’immagine di efficienza bastasse a risanare la città. Ma quando l’efficienza è una maschera dietro la quale si nascondono – sicuramente a sua insaputa – i soliti meccanismi clientelari, la corruzione, una classe politica miserabile in vendita al migliore offerente, questa non basta a cambiare una situazione che per troppo tempo è stata fuori controllo. (…) Ho usato il termine “incolpevole” riferendomi a Marino. E non “innocente”. La differenza c’è e non è roba da poco. Quando la corruzione del sistema Buzzi raggiunge il tuo ufficio di Gabinetto, la tua giunta, il consiglio comunale e gli uomini della maggioranza che ti sostengono, il partito a cui sei iscritto e al quale perfino ti sei candidato come segretario nazionale, non può definirti “innocente”. Sei innocente quando non solo sei estraneo ai fatti, ma quando – visto il ruolo che ricopri – fai di tutto perché la tua amministrazione sia totalmente estranea al sistema di potere che è degenerato, poi, in corruzione. Non si può pensare che basti essere onesti perché i propri collaboratori e compagni di viaggio lo siano. L’innocenza, per un politico, dovrebbe essere altro. Perché la responsabilità politica, che non è quella penale, è altrettanto grave».

La notizia dell’assoluzione dell’ex sindaco dall’accusa di peculato in relazione alla misera vicenda degli scontrini e dei rimborsi spesa non mi ha colto di sorpresa. La costruzione dell’attacco concentrico al sindaco extraterrestre per farlo cadere portato avanti soprattutto dalla dirigenza nazionale del proprio partito e da parte dell’esecutivo è stata talmente evidente che era inevitabile come il clamoroso colpo di scena degli scontrini dopo mesi di attacchi e delegittimazioni quotidiane da parte della sua stessa maggioranza andate avanti per mesi. Ci siamo dimenticati del ruolo giocato dal Pd nazionale che dopo aver commissariato il partito romano liquida come semplice esercizio scientifico l’analisi sullo stato dei circoli dem nella Capitale elaborato da Fabrizio Barca? Mi ricordo perfettamente Matteo Orfini liquidare quello spietato report sul grado di degenerazione del partito romano con una battuta che suonava più o meno così: “Bravo Barca, ma le scelte sono politiche”. Ci siamo scordati del ruolo giocato dal prefetto Franco Gabrielli (inviato d’urgenza da Matteo Renzi a Roma) che non passava giorno senza attaccare il Sindaco e cercare di sottrargli spazio e voce e ruolo? È reato di lesa maestà immaginare che possa essere stato premiato, immediatamente dopo le dimissioni forzate e l’arrivo del commissario Tronca, con la poltrona di capo della Polizia? E il ruolo giocato dal Vaticano? Le ingerenze sul governo della città di Roma – mentre non ci si scordava di omaggiare a Cinecittà con funerali faraonici il vecchio boss dei Casamonica – non si limitarono solo alle battute al vetriolo del Papa a 8.000 metri di quota, ma a una continua delegittimazione della curia romana alle scelte troppo laiche di quel sindaco che voleva trasformare la città eterna semplicemente in una una capitale europea. Laica.

Ora governano i figli della borghesia delle professioni. Anzi, forse inizieranno a governare se smetteranno di litigare fra loro e interromperanno questa assurda prassi di farsi suggerire nomine e azioni da uno o più studi legali ben inseriti nel sistema capitolino da tempi in cui il termine “5 stelle” era applicabile solo a hotel e ristoranti di lusso. Intanto va avanti il processo più nascosto della storia della repubblica, quello al sistema di potere di Mafia Capitale, e nessuno si stupisce del numero impressionante di derubricazioni e di richieste di archiviazione per la folla di imputati. E si riaffacciano le seconde file di quel sistema di potere che portò il post-fascista fino a un certo punto Gianni Alemanno in cima al Campidoglio. Simbolo di quella amministrazione che, consapevolmente o no, aprì le porte a gruppi e persone che esclusi dall’amministrazione per decenni si affollarono attorno al tavolo del buffet: Roma.

E la città? Tornando a “Roma Brucia” non sembra essere cambiato nulla. Scrivevo infatti un anno fa: «A Roma il metterci pezza è un’arte. È prassi. Anzi, una vera e propria cultura. Le buche che devastano le strade della città? Ci si mette ’na pezza. La discarica di Malagrotta per cinquant’anni periodicamente a livello di saturazione prima di metterci mano e malamente? Ci si mette ’na pezza. Il sistema di trasporto pubblico disastrato e indegno di una capitale europea? Ci si mette ’na pezza. La città intera, anche quella all’interno delle Mura Aureliane, degradata, lurida, insicura e in disfacimento? Ci si mette ’na pezza. La rete di distribuzione del gas che – si sta indagando anche su questo anche se lontani dai riflettori dei media – potrebbe non essere mai stata rimodernata e messa in sicurezza? Ci si mette ’na pezza. Interi quadranti della città – non semplicemente quartieri – in mano alla criminalità comune e direttamente alle mafie? Ci si mette ’na pezza. Ecco, questa è stata ed è Roma. Una città moralmente e fisicamente rappezzata. Malamente. Una toppa qua, una rinfrescatina là, e poi fatevene una ragione. “Così vanno le cose, così devono andare”».

Roma brucia, e continua a bruciare.