Che fare degli immobili di Roma Capitale?

Scoprire che ci sono appartamenti del Comune in affitto a pochi spicci al centro di Roma è tutto meno che una sorpresa. Non soltanto per i soliti luoghi comuni sul “magna-magna” a cui i romani sono abituati da secoli – pensate solo agli affreschi di corruzione sulla Roma dei Papi – ma perché sono decenni che ogni tanto spuntano inchieste sul tema, rapidamente dimenticate.
A me è successo, una ventina di anni fa, di censire insieme a un amico una serie di locali commerciali di proprietà comunale (o che il Campidoglio subafittava) di Ostia, scoprendo che la maggioranza erano utilizzati per pochi soldi da veri negozianti, finti circoli sportivi o culturali. Pochissime, invece, le sedi di partito.

Alla fine della nostra ricerca, condotta come militanti politici, denunciammo la cosa, i giornali ne parlarono nelle pagine locali, poi finì lì. La novità sulla nuova presunta “Affittopoli” romana, diffusa da un laconico comunicato del Comune nel pomeriggio di lunedì scorso sta magari nel fatto che neanche la ex giunta Marino è riuscita a debellare il fenomeno, nonostante gli impegni. Il che, in avvio di campagna elettorale, non fa troppo bene all’immagine dell’ex sindaco, che secondo alcuni starebbe accarezzando l’idea di ripresentarsi con una propria lista.

L’argomento del patrimonio immobiliare comunale però dovrebbe entrare in campagna elettorale, eccome. Non per alimentare l’indignazione, ma per discutere di cosa farne. Secondo il sito del Campidoglio, Roma Capitale dispone di almeno 59.000 beni. Parecchi.
L’Unione Inquilini ha chiesto per esempio di bloccare le vendite degli appartamenti perché così si rischia di fare un favore a chi ha pagato pochi euro l’affitto di casa. La cosa va valutata anche in base all’andamento del mercato, perché parliamo di immobili in zone di pregio. Di certo a Roma c’è bisogno di case per persone con basso reddito, quindi si potrebbe anche pensare di vendere da una parte e comprare dall’altra (certo, si può sempre dire che poi i furbi saltano le graduatorie di assegnazione delle case popolari, oppure occupano gli appartamenti grazie a coperture: però da qualche parte bisognerà pure cominciare).

Oppure, il Comune potrebbe pensare di aiutare le start up, e dunque giovani che provano a inventarsi un lavoro, concedendo spazi in comodato gratuito, in cambio della ristrutturazione. O anche sostenendo le associazioni: che non portano soldi, ma ne fanno risparmiare, grazie alla loro partecipazione al tessuto sociale della città, rafforzandone il benessere. L’idea di vendere il patrimonio immobiliare – case, uffici, caserme etc – per fare cassa in un’epoca di contrazione dei prezzi (o di mercato comunque stagnante) rischia di essere stupida. E’ vero che Roma è sempre molto vicina al default, ma la cura migliore è quella di aiutare il paziente, non di farlo fuori per stroncare la malattia.